1 dicembre 2016
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Nonostante sia il Paese europeo con il
maggior numero di articoli agroalimentari a
denominazione di origine, la stragrande
maggioranza dei prodotti italiani di questo
tipo sono sconosciuti al di fuori dei
confini del Belpaese.
In una recente conferenza sul tema, la
Confederazione italiana agricoltori (Cia) ha
riferito che «Nel contesto di una produzione
nazionale che ha raggiunto i cinque mila 847
prodotti tradizionali o a denominazione di
origine, l'Italia ne porta solo circa 200
sulle tavole dei consumatori
internazionali».
In termini monetari, questo significa che le
esportazioni italiane in questo campo —che
si attestano attorno ai 37 miliardi di euro
all'anno (circa 39 miliardi di dollari)—
hanno un potenziale reale di almeno 70
miliardi di euro (circa 74 miliardi di
dollari).
Secondo la Cia, una lista molto limitata di
prodotti rappresenta oltre il 90 per cento
delle esportazioni e, in termini monetari,
il 64% del totale (circa 25,4 miliardi di
dollari) si concentra in vendite alla
Germania, Francia e Regno Unito.
Per illustrare questa situazione, il
presidente della Confederazione, Dino
Scanavino, ha spiegato che a livello
internazionale sono noti solo una dozzina di
vini italiani, rispetto ai 523 esistenti a
denominazione di origine.
Fuori dall'Italia, ha aggiunto, sono
abbastanza conosciuti l'aceto balsamico di
Modena, il Parmigiano Reggiano e il Grana
Padano, i prosciutti di Parma e San Daniele,
ma sono pochissime le persone che conoscono
l'esistenza di prodotti come il formaggio
Caciocavallo Silano, molto popolare nel
Paese, o il riso nano Vialone del veronese.
In risposta, Scanavino considera urgente
accelerare il processo di
internazionalizzazione dell'industria
enogastronomica e alimentare, promuovendo
all'estero un maggior numero di prodotti
italiani di eccellenza.
(massimo barzizza / puntodincontro.mx)
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