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settembre 2014 -
Il pomodoro è nativo della zona compresa
oggi tra il Messico e il Perù. Gli Aztechi
lo chiamarono "xitomatl", dato che si
trattava di una varietà specifica di frutti,
simili tra loro e sugosi, definiti
genericamente con il termine "tomatl".
La salsa di pomodoro era già parte
integrante della cucina precolombiana in
territorio messicano all'epoca della
conquista spagnola e la data dell'arrivo di
questa bacca in Europa pare risalire al
1540, quando Hernán Cortés rientrò in patria
e ne portò alcuni esemplari. La sua
coltivazione e diffusione, però, attese fino
alla seconda metà del XVII secolo.
Arrivò in Italia nel 1596 ma solo più tardi,
trovando condizioni climatiche favorevoli
nel sud del Paese, si produsse il viraggio
del suo colore dall'originario e
caratteristico colore oro, che diede appunto
il nome alla pianta, all'attuale rosso,
grazie a selezioni e innesti successivi.
Verso la fine del XVI secolo gli vennero
attribuite proprietà afrodisiache, per cui
alcuni romantici francesi chiamarono la
varietà di tomatillo proveniente dal Messico
“pomme d’amour”.
Ma, come nella mela di Cenerentola, l’amore
giocava con la morte, per cui questa
solanacea fu relegata nelle aiole decorative
perché considerata velenosa.
Fu solo nel secolo dei Lumi che il pensiero
razionale privò il pomodoro di poteri magici
o venefici e lo degradò a semplice
ingrediente di cucina. Alla fine del
Settecento, nel Sud Italia affamato e
baciato dal sole, l’oro rosso incontrò la
cultura gastronomica della Magna Grecia: la
focaccia, il formaggio, l’olio e la pasta di
semola.
Da questo genuino matrimonio d’amore nacque
lo stereotipo che nel mondo è oggi
conosciuto come «cucina italiana».
(massimo barzizza
/ puntodincontro.mx)
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