Frammento di un calendario romano.
 

24 gennaio 2013 - Il quesito, in sé, non è certo di capitale importanza.

Tanto vale, comunque, farne oggetto di una breve delucidazione.

Cosa significa, di preciso, la locuzione latino-italiana “alle calende greche”?

È presto detto: è una specie di battuta di spirito degli antichi romani, un loro modo di dire per significare “a un tempo inesistente” ossia “mai”.

Presso la Roma antica, era invalsa l’usanza che il primo giorno di ogni mese, cioè le kalendae, si pagassero i debiti e i relativi interessi. L’ammontare del denaro dovuto dai vari debitori, era pubblicato su un apposito registro chiamato calendarius.
 

Calendario romano, affresco della villa di Nerone ad Anzio, del 60 a.C. circa,
prima dell'avvento del calendario giuliano. Da notare la presenza dei mesi Quintilis ("QVI") e Sextilis ("SEX").
 

Nel linguaggio corrente celebrare le calende, significava quindi onorare i propri impegni economici ad inizio mese. In breve: pagare. In questo contesto, dato che nel calendario greco le calende non esistevano, si diceva pagare alle calende greche per significare che non si sarebbe pagato mai; Le calende greche erano cioè intese come una scadenza sine die, una data talmente protratta nel tempo da non giungere mai, praticamente inesistente.

Secondo lo storico Svetonio (70-126 d.C.) la frase “ad kalendas graecas soluturos” (“intenzionati a pagare alle calende greche”) è da attribuirsi addirittura all'imperatore Augusto (63 a.C.-14 d.C.) che ne avrebbe fatto uso di frequente per indicare persone assolutamente inaffidabili e che, nella fattispecie, non avrebbero mai pagato un qualsiasi loro debito.

Le calende avevano a che fare con la luna, più in particolare con la luna nuova.

A Roma c’era un Sacerdote (detto Pontifex Minor, un funzionario civile con mansioni religiose) che aveva l’incarico specifico di scrutare il cielo e di stabilire per tempo l'inizio del prossimo novilunio, cioè delle Kalendae.

La definizione di questo evento astronomico era di vitale importanza perché i Romani usavano, anticamente, un calendario lunare.

Un mese di questo calendario corrispondeva ad una lunazione e copriva, quindi, il periodo di tempo che inizia con la Luna nuova, il periodo di invisibilità della Luna e terminava con il ritorno della Luna nuova.

Questo arcaico calendario si articolava attorno a tre giorni che avevano un loro nome peculiare:

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Il primo era, appunto, il giorno delle calende, che individuava il primo giorno di ogni mese, cioè il giorno della luna nuova.

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Il secondo era quello delle none, ossia il giorno della mezza-luna

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Il terzo era quello delle idi ossia il giorno della luna piena (plenilunio) [1].

 

Il Pontifex Minor, una volta determinato quando si sarebbe verificato il novilunio, convocava (= calebat) il popolo sul Campidoglio per annunciare ufficialmente l’evento nonché per proclamare le feste religiose che ricorrevano in quel mese, i giorni fasti (= leciti per svolgere attività pubblica e giudiziaria) e quelli nefasti (= a carattere espiatorio, dedicati alla religione).

Il giorno di questa convocazione popolare era definito come kalendae —dal verbo greco kaleo, “kalèo” = chiamare a raccolta, convocare— ed era considerato, a tutti gli effetti, il primo giorno del mese.

Con riferimento a questi tre punti fissi mensili, i Romani avevano elaborato un modo curioso di conteggiare i giorni. Si contavano quanti giorni mancavano alla solennità successiva, tenendo conto sia del giorno di partenza che del giorno di arrivo. Ad esempio, invece di dire “il 12 di marzo”, dicevano «mancano quattro giorni alle Idi di marzo», ossia al plenilunio.

Le Calende e le Idi erano sempre dies festi (consacrati a una divinità). Le Idi erano dedicate a Giove, le Calende a Giunone. Le None a nessun dio, ma erano comunque considerate sacre. Il giorno successivo alle Calende, alle None e alle Idi era considerato sfortunato (dies ater, cioè nero). Maledetti erano anche i dies religiosi o vitiosi (giorni ritenuti superstiziosi in ricordo di gravi calamità).

La durata del mese, come già accennato, era determinata “empiricamente”, mediante l’osservazione delle fasi lunari, ed era, alternativamente, di 29 e 30 giorni (eccezionalmente 31). Il nome stesso “mese” deriva da una voce indoeuropea (“mên”) che significa “luna”, l’astro che fornì agli antichi il primo sistema di misurazione del tempo.

È interessante notare come i nomi dei mesi, anche in latino, siano tutti maschili.

Questo perché, in realtà, i nomi dei mesi sono … degli aggettivi. Il loro etimo, infatti, era un attributo del maschile mensis, termine che rimaneva sottinteso (per es., mensis februarius, cioè “della purificazione”, etimo di febbraio).

Il calendario romuleo, comprendeva dieci mesi soltanto. Jannuarius (dedicato a Giano, il dio bifronte che guardava sia l'anno vecchio che quello nuovo) e Februarius (riservato al sacrificio di espiazione, Februa, per le anime dei morti) furono aggiunti come undicesimo e dodicesimo mese, dal successore di Romolo, il re Numa Pompilio (754-673 a.C.).

Martius era dedicato a Marte, dio della guerra, mentre Aprilis (dall’aprirsi dei germogli delle piante) era il mese consacrato a Venere. L’elenco dei mesi successivi ci è ben noto e ne comprendiamo benissimo le denominazioni anche se riportate in latino: Maius (dedicato a Maia, madre di Mercurio), Junius (dedicato a Giunone), Quintilis (quinto mese, poi mutato in Julius, in onore di Giulio Cesare), Sextilis (sesto, poi mutato in Augustus, in onore di Ottaviano Augusto), September (settimo mese), October (ottavo mese), November (nono mese), December (decimo mese).

Poche altre osservazioni di un certo interesse.

La parola italiana “data” risale all'uso antico di concludere le lettere con una espressione del tipo «Data tabellarius Athenis IX Kal. Apr.» = consegnata al portalettere ad Atene il 24 Marzo.

Un’altra curiosità: la settimana dei Romani, in realtà, non durava sette giorni ma … otto!

Nei primi secoli, un metodo semplice per misurare brevi periodi di tempo era quello del nundinum: questo termine indicava letteralmente "un periodo di nove giorni", poiché in Roma ad ogni nono giorno si teneva il mercato. L'effettiva durata di tale periodo, però, era di otto giorni, in quanto i romani usavano contare secondo il sistema cosiddetto "inclusivo", cioè l'ultima unità di una serie faceva anche da prima unità della serie successiva: le nundinae (i giorni di mercato) erano tanto l'ultimo giorno di un nundinum quanto il primo giorno di quello successivo, come mostrato dalla figura qui di seguito.
 


 

Un'ultima stravaganza curiosa.

In origine, nella Roma arcaica, quando cioè vigeva il calendario di Romolo, l’anno aveva inizio a marzo. Perché mai una simile astruseria?

Perché marzo era il mese in cui si riprendevano le guerre dopo la sosta invernale. Era infatti usanza assai diffusa fra le popolazioni vetero-mediterranee, quella di evitare le imprese belliche da marzo a ottobre, dal momento che, durante questo periodo, le condizioni climatiche erano giudicate troppo "avverse" (etimologicamente = voltate contro). Si vuole che anche l’omerica guerra di Troia, protrattasi per 10 anni, riprendesse ogni primavera dopo una sosta invernale rispettata da entrambi gli eserciti contendenti.
 

Adolph Northen. La ritirata di Napoleone da Mosca.
 

Magari ne avesse tenuto debito conto Napoleone Bonaparte durante la sua tragica campagna di Russia, dove venne costretto in disastrosa ritirata dal Generale Inverno!

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[1] Le none (latino nonae) erano così dette perché erano il nono giorno prima delle idi (contando sia il giorno di partenza che di arrivo). Il termine idi in latino era maschile (IV declinazione) e al singolare faceva idus e, più anticamente, eidus, che deriverebbe dal verbo di origine etrusca iduo divido, perché le idi dividevano in due la durata dei mesi.

 

(claudio bosio / puntodincontro / traduzione allo spagnolo di carla acosta villavicencio e massimo barzizza)

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Fragmento de un calendario romano.
 

24 de enero de 2013 - La cuestión, en sí, no es de capital importancia.

Es interesante, sin embargo, aclarar algunas cosas a este respecto.

¿Qué significa, exactamente, la frase latina “a las calendas griegas”?

La respuesta es sencilla: se trata de una especie de sarcasmo de los antiguos romanos: es una forma de decir  “en un tiempo inexistente” o sea, “nunca”.

En la antigua Roma era muy difundida la usanza según la cual el primer día de cada mes —es decir, las kalendae o calendas— se pagaban las deudas y los relativos intereses. La cantidad de dinero que tenía que ser liquidada por los diferentes deudores era publicada en un registro especial, llamado calendarius.
 

Calendario romano, mural en la villa de Nerón en Anzio, del año 60 a.C. aproximadamente,
Nótese la presencia de los meses Quintilis (“QVI”) y Sextilis (“SEX”).

 

En el lenguaje común, celebrar las calendas significaba, por lo tanto, honrar las deudas financieras al inicio del mes. En otras palabras, pagar. En este contexto —dado que en el calendario griego las calendas no existían— se decía “pagar a las calendas griegas”  queriendo significar que “no se pagaría nunca”.

Las calendas griegas eran, por lo tanto, consideradas un vencimiento sine die, una fecha tan lejana en el tiempo que no llegaría nunca, prácticamente inexistente.

Según el historiador Suetonio (70-126 d.C.) la frase "ad kalendas graecas soluturos", (que pretenden pagar en las calendas griegas) es incluso atribuible al emperador Augusto (63 a.c.-14 d.c.), quien habría usado este dicho con frecuencia para señalar a personas muy poco confiables y que no habrían pagado nunca sus deudas.

Las calendas estaban relacionadas con la luna y, particularmente, con la luna nueva.

En Roma había un sacerdote (llamado Pontifex Minor, un funcionario civil con tareas religiosas), que tenía el encargo específico de observar el cielo y de establecer con anticipación la fecha de inicio de la luna nueva, es decir, de las kalendae.

La definición de este evento astronómico era de vital importancia, dado que los romanos utilizaban antiguamente un calendario lunar. Un mes de este calendario correspondía a un ciclo lunar y comprendía, por lo tanto, el periodo que inicia con la luna nueva, el periodo de invisibilidad de la luna y terminaba con el regreso de la luna nueva.

Este calendario arcaico se articulaba alrededor de tres días que tenían nombres y significados claramente definidos.

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El primero era, efectivamente, el día de las calendas, el cual indicaba el primer día de cada mes, es decir, el día de la luna nueva.

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El segundo era el día de las nonas (noveno) o sea, el día de la media luna.

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El tercero era el de los idus (decimoquinto), o sea, el día de la luna llena [1].

El Pontifex Minor, una vez determinado el día de la siguiente luna nueva, convocaba al pueblo en el Capitolio para anunciar oficialmente el evento, además de proclamar las fiestas religiosas propias de ese mes, los días fastos (en los que se permitía llevar a cabo actividades públicas y judiciales) y los días nefastos (de carácter expiatorio, dedicados a la religión).

El día de estas convocatorias populares era conocido como “kalendae” del griego kaleo (“kaleo”, llamar a junta, convocar) y se consideraba, para todos los efectos, el primer día del mes.

Haciendo referencia a estos tres puntos mensuales fijos, los romanos elaboraron un modo curioso de indicar los días. Se contaban los que faltaban para la siguiente solemnidad, incluyendo en el cómputo tanto el día de inicio como el último. Por ejemplo, en vez de decir el “12 de marzo”, decían: faltan 4 días para los idus de marzo, o sea el plenilunio.

Las calendas y los ldus eran siempre dies festi, consagrados a una divinidad. Los idus eran dedicados a Júpiter, las calendas a Juno. Las novenas a no eran dedicadas a ningún dios, pero aun así, eran consideradas sagradas. El día sucesivo a las calendas, a las novenas y a los idus, eran considerados desafortunados (dies ater, es decir “negro”. Eran también de mal agüero los dies religiosos (considerados desafortunados por el recuerdo de algunas grandes calamidades del pasado).

La duración del mes, como ya se dijo, era determinada “empíricamente” mediante la observación de las fases lunares y era alternativamente de 29 o 30 días, alcanzando excepcionalmente los 31.

El mismo nombre, mes, deriva de una voz indoeuropea (“mên”) que significa “luna”, el astro que proporcionó a los antiguos el primer sistema de medición del tiempo.

Es interesante notar que los nombres de los meses, también en latín, son todos masculinos.

Esto es porque, en realidad, los nombres de los meses son... adjetivos. Su etimología, de hecho corresponde a un atributo del masculino mensis, término que permanecía implícito (por ejemplo, Mensis februarius, o sea, “de la purificación”, etimología de febrero).

El calendario de Rómulo comprendía solamente diez meses. Jannuarius —dedicado a Jano, el dios con dos caras, que miraba tanto al año viejo como al nuevo— y Februarius —reservado al sacrificio de expiación, Februa, para las almas de los muertos—, fueron agregados como onceavo y doceavo por el sucesor de Rómulo, el rey Numa Pompilio (754-673 a.C.).

Martius era dedicado a Marte, dios de la guerra, mientras que Aprilis (por la apertura de los brotes de las plantas), era el mes consagrado a Venus.

Las denominaciones de los meses sucesivos son relativamente fáciles de comprender, aun en latín. Maius (dedicado a Maia, madre de Mercurio), Junius (dedicado a Juno), Quintilis (quinto mes, que después fue substituido por Julius, en honor a Julio César), Sextilis (que más tarde se convirtió en Augustus, en honor a Octaviano Augusto), September (séptimo mes), October (octavo mes), November (noveno mes), December (décimo mes).

Algunas otras observaciones de interés son las siguientes:

La palabra italiana “data” (fecha) viene del uso antiguo de concluir las cartas con una frase del tipo «Data tabellarius Athenis IX Kal. Apr.», (entregada al cartero en Atenas el 24 de Marzo).

Otra curiosidad: la semana de los romanos en realidad no duraba 7 días... ¡sino 8!

En los primeros siglos, un método simple para medir breves periodos de tiempo, era el del nundium. Este término indicaba literalmente “un periodo de nueve días” ya que en Roma cada nueve días, se ponía el mercado. En realidad la duración de ese período era de 8 días, ya que los romanos acostumbraban contar con el sistema llamado “inclusivo”, es decir, la última unidad de una serie era tomada como la primera unidad de la serie sucesiva: las nunindae (los días de mercado) eran tanto el último día de un nundiunum, como el primero de la siguiente serie, como se muestra en la imagen siguiente:

 


 

Una última extravagancia: originalmente, en la Roma arcaica, cuando prevalecía el calendario de Rómulo, el año iniciaba en el mes de marzo. ¿Por qué? Porque marzo era el mes en el cual se retomaban las guerras después de su suspensión invernal. Era de hecho, una costumbre muy difundida entre los pueblos mediterráneos la de evitar los conflictos bélicos entre octubre y marzo, ya que durante este período las condiciones climáticas eran consideras como “demasiado adversas” (etimológicamente= vueltas en contra). Se dice que también la homérica guerra de Troya, que duró 10 años, se reanudaba cada primavera después de una suspensión invernal, respetada por ambos ejércitos contendientes.
 

Adolph Northen. La retirada de Napoleón desde Moscú.
 

Tal vez Napoleón Bonaparte lo debió tener en cuenta durante su trágica campaña en Rusia, donde se vió obligado a una desastrosa retirada a causa del… ¡General Invierno!

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[1] Las “nonas” (del latín nonae) eran llamadas así porque indicaban el noveno día antes de los idus (contando el primero y el último). El término “idus” en latín, es masculino (IV declinación) y su versión más antigua era “eidus”, que deriva a su vez del verbo de origen etrusco “iduo” (divido), porque los idus dividían en dos la duración del mes.

 

(claudio bosio / puntodincontro / traducción al español de carla acosta villavicencio y massimo barzizza)