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«A Venezia [...] lascia che sia la strada
a decidere da sola il tuo percorso,
e non il percorso a farti scegliere le strade.
Impara a vagare, a vagabondare.
Disoriéntati. Bighellona».

Tiziano Scarpa

28 giugno 2013 - Passeggiare per Venezia, specie per un “foresto” (= uno che viene da “fôra”, cioè da fuori) è sempre un’avventura: sorprendente, ricca di scoperte e di curiosità.

Ad esempio, si scoprirà che Venezia ha solo due “canali”, propriamente detti: il Canal Grande (Canalaso) e il Canale della Giudecca. (I canali più piccoli si chiamano “Rii”) In tutta la città, poi, esiste solo una “strada”: Strada Nova; e, ancora, vi sono soltanto due “vie”: Via Garibaldi e Via XXII Marzo. Tutte le altre si chiamano “calli” (dal latino callis = sentiero) nome che designa strade piuttosto lunghe e strette. Quanto alle “piazze”, Venezia ne ha una sola, imponente, elegante, prestigiosa: piazza San Marco. Le altre piazze, ovviamente meno importanti, sono dette “Campi”, perché anticamente erano adibiti a orti. I campi di fronte alle chiese erano spesso usati anche come camposanti, ossia cimiteri. Le piazze di più piccole dimensioni (o anche gli spazi aperti) prendono il nome di “Campielli”.

Venezia. Via Garibaldi.

L’intera odonomastica veneziana (dal greco odos, odos = via, strada) è un vero rompicapo. Prima di smarrirsi nel dedalo di stradine e ponti della città lagunare, è consigliabile dare un occhio al glossario dei termini … della circolazione pedonale veneziana: potrebbe rivelarsi un utile strumento di sopravvivenza!

Per esempio, una via, oltre che calle, può essere chiamata salizzada, ruga, fondamenta, riva

Salizzada” (lett. selciata) è così denominata una calle larga di importanza speciale. In epoche passate queste strade, proprio grazie alla loro importanza, furono tra le prime a venir pavimentate con le classiche pietre in selciato grigio, mentre il resto delle calli presentava una pavimentazione in mattoni di cotto disposti a spina di pesce.

La "ruga" (dal francese "rue" = via, un retaggio del breve governo napoleonico) è una via fiancheggiata da negozi e da case.

Se, invece, una strada è fiancheggiata solo da una parte dalle pareti degli edifici, mentre l'altro lato corre lungo un canale, viene detta "fondamenta". Le fondamenta si chiamano così perché fungono da fondazione alle costruzioni adiacenti. Esse hanno sempre disponibili degli approdi per l’attracco di imbarcazioni.

Si definisce infine "riva" una fondamenta più ampia, dove possono agevolmente approdare le barche e transitare le persone, durante tutto il giorno.

Strada facendo (appunto!), si può anche imbattersi in un "rio terà" cioè in un ex-canale interrato e diventato una calle.

Per rendere il tutto ancora più complicato, le vie di Venezia hanno numeri civici assegnati sulla base del "sestiere". Il sestiere è una delle sei zone in cui è divisa la Città lagunare. Corrisponde al quartiere delle altre città di terra-ferma, che idealmente rappresenta la quarta parte dell'accampamento romano [1].

In ciascun sestiere, poi, ogni abitazione possiede un numero civico univoco, e a ogni cambio di sestiere la numerazione ricomincia da 1. Inoltre i numeri pari si susseguono a quelli dispari secondo una logica sequenziale: non si segue la regola della numerazione pari in un lato e dispari sull’altro. Un bel pasticcio!

I nizioleti vengono dipinti rigorosamente a mano, con il supporto di mascherine.

Altra peculiarità veneziana sono le insegne per la denominazione delle strade. I nomi non sono, come altrove, incisi su piccole lastre di pietra: sono dipinti su rettangoli di calce, chiamati "nizioleti" (= piccoli lenzuoli). Si tratta di veri e propri affreschi: infatti i nomi delle strade o dei canali o le indicazioni verso i punti cruciali della città, sono dipinti a mano direttamente sui muri delle case, entro un rettangolo di colore bianco (da cui il nome)circondato da un riquadro nero. In tempi remoti girare di notte a Venezia era piuttosto rischioso a causa dell'oscurità. Nel buio delle calli si potevano incontrare malviventi senza scrupoli, o burloni che tagliavano gli abiti addosso ai nobili. Si pensò allora ad illuminare le strade con dei lumini ad olio, i "cesendelli" (dal latino cicindèla = lucciola). Poi, per maggior sicurezza dei viandanti, si ricorse ai "còdega". Erano delle persone munite di lampade alimentate a grasso animale (da codega = cotica di maiale) che, a pagamento, accompagnavano i nottambuli fino alle loro case.

Non c’è posto a Venezia che non adombri, curiosità, segreti, misteri.

Per esempio, fra i tanti tesori contenuti nella Basilica di S. Marco, c’è un bassorilievo, nella cappella Zen, che raffigura la Vergine con Bambino: si vuole che questa scultura sia stata ricavata dalla pietra da cui Mosè fece sgorgare l’acqua che dissetò gli ebrei nel deserto.

Sempre dentro S. Marco, nel battistero, è venerata un’altra pietra, macchiata di rosso: si ritiene sia quella su cui cadde la testa di Giovanni Battista, fatto decapitare per ordine di Erode.

Il simbolo di Venezia, è risaputo, è il leone alato con un libro aperto sotto la zampa anteriore destra, recante la scritta Pax tibi Marce evangelista meus (= Pace a te Marco, mio evangelista). Quando però Venezia era in stato di guerra, il Leone di San Marco cambiava atteggiamento: nelle varie documentazioni in cui veniva istoriato, era rappresentato mentre reggeva una spada. Comunque, la maggior parte dei “leoni” fu distrutta dalle truppe napoleoniche nel 1797. Quelli che vediamo attualmente sono quasi tutti delle copie. Ancora oggi dalla Piazza S. Marco sono visibili ben 13 “leoni”.

Le campane di San Marco.

Anche alle campane poste nel Campanile di San Marco, sono legate delle curiosità non a tutti note. Sono cinque e ognuna ha un nome particolare: la "Renghiera" annunciava le sentenze capitali in atto; la "Marangona" segnava l'orario di lavoro dei carpentieri (=marangoni) dell'Arsenale; la "Pregadi" indicava il raduno dei Senatori (= tale termine deriva dal fatto che la Signoria soleva inviare presso le abitazioni dei senatori facenti parte del "Consiglio dei Rogati (Pregadi), i propri comandadori (messi) per "pregare" ciascun Senatore di recarsi a Palazzo. La formula di rito che gl'inviati pronunciavano era: Pregadi per la Terra!, dove col termine Terra anticamente s'intendeva propriamente la città di Venezia); la "Trottera" invitava i nobili di Venezia a mettere al trotto i loro cavalli per non arrivare tardi alle loro convocazioni a Palazzo Ducale. Infine, la "Mezzana", che la bate el mezogiorno (= che suona a mezzogiorno);

Altra curiosità non a tutti nota: perché, almeno in Italia, tutte le campane delle chiese suonano a mezzogiorno? Questa è una tradizione che si rifà alla Battaglia di Lepanto, combattuta, nel golfo di Patrasso, la domenica 7 ottobre 1571 tra le flotte musulmane dell'Impero ottomano e quelle cristiane della Lega Santa. Quel giorno, si narra che a Roma Papa Pio V avesse una visione ed esclamasse: "Sono le 12, suonate le campane, abbiamo vinto a Lepanto per intercessione della Vergine Santissima". (Per inciso, la notizia della vittoria arrivò a Roma 23 giorni dopo). Da allora è così invalso l'uso di suonare ogni giorno le campane allo scoccare del mezzogiorno.

Ma non si può parlare di Venezia senza accennare alla "gondola", da più di un millennio il simbolo della Città. L’etimologia della parola è molto discussa: forse deriva da un incrocio tra il verbo dondolare e il greco medioevale κονδοῦρα, kondura, barca a coda corta, o forse dal latino cunula, culla. Fungeva anticamente da collegamento tra vari punti della città, che all'epoca aveva molti più canali e meno ponti. (Oggi ci sono 417 ponti!). Elegante, silenziosa, ancora dipinta di nero come da antico decreto della Repubblica Serenissima (1633), lunga 11 metri, leggermente asimmetrica e a fondo piatto: anche i foresti sanno (quasi) tutto sulla gondola. Sanno che il gondoliere la manovra usando un solo remo e che il remo appoggia su un supporto dalla forma bizzarra denominata "fórcola". E, ancora, che il ferro di prua si chiama "dolfin" (= delfino, per somiglianza; quello che rappresenta i 6 sestieri della Città e il cappello del Doge) mentre il ferro di poppa è detto "rìsso" (= riccio). Può darsi che i più non sappiano che l'assemblaggio dei 280 pezzi di legno, di varie essenze, compongono una gondola, può richiedere oltre un anno di lavoro specializzato.

La simbologia del ferro anteriore delle gondole (nota 1).

Sta di fatto che quando passeggi per Venezia, ti accorgi di essere sempre solo.

Girovagando per calli e campielli, anche nel fandango di mille persone, sei solo con Lei: la tacita, favolosa Città delle gondole.

Luci ovattate da ombre traslucide. Quasi nessun rumore. Venezia, durante il giorno, sembra mollemente adagiata lungo la "esse storta" del Canal Grande: tacita e sorniona come una splendida gatta. Poi, mano a mano che il tramonto incede, la Città si corica nel letto argenteo della sua Laguna, in un dormiveglia sempre più silente.

Città-dalle-strade-d’acqua, Venezia sembra divenire, con la magia della notte, una vera Città-liquida che bordeggia calma e solenne. Serena. Anzi Serenissima!

A pensarci bene, a Venezia, tutti, sia il povero che il ricco, vanno … a piedi.

Qui, è impossibile ostentare, quel ridicolo status symbol che, altrove, è rappresentato dall’automobile, penosa dichiarazione dei redditi … su quattro ruote. In questo senso, le calli veneziane, così strette e anguste da far passare a volte un solo pedone, spianano completamente le disuguaglianze sociali: sono strade democratiche.

Non c’è alcun dubbio.


[1] I sei sestieri in cui è suddivisa Venezia sono simbolicamente rappresentati dai sei denti del ferro della gondola (la tipica decorazione anteriore di queste imbarcazioni) e, assieme al dente posteriore rappresentativo dell'isola della Giudecca, alla forma a S ricalcante il percorso del Canal Grande, al piccolo arco sopra l'ultima sbarra che ricorda il Ponte di Rialto (= Rivus Altus, canale profondo) e all'ampia voluta superiore indicante insieme il Bacino San Marco e il Corno Ducale (copricapo del Doge), forniscono la rappresentazione stilizzata della città.

 

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Storia di parole italiane e non, di Claudio Bosio.

 

(claudio bosio / puntodincontro.mx / adattamento e traduzione allo spagnolo di massimo barzizza)