La visione precolombiana centroamericana della medicina

Di Francesco Di Ludovico
 

CITTÀ del MESSICO, 14 marzo 2007. - Nel contesto storico e geografico dell’America centrale l’etnia dei Nahua è una di quelle che risaltano, poiché a differenza di molti altri popoli precolombiani possiede tutt’ora eredi viventi ed è caratterizzata da interessanti espressioni antropologiche. Vedere alcuni aspetti del pensiero nahua è importante per comprenderne meglio e giustificare certe loro espressioni di ordine medico.

I Nahua ritengono possibile e addirittura necessaria la coesistenza di apparenze contrapposte, facendolo in un modo molto simile a quello della dottrina dello “yin e yang” cinese. Ossia ci ricordano come senza un’idea non ne esisterebbe un’altra che le è contraria (ad esempio, senza il brutto non esisterebbe il bello), così come verrebbe meno la nozione che una o entrambe queste idee esprimono (bruttezza o bellezza, per continuare l’esempio).

I Nahua definiscono la polarità della loro visione del mondo frío-caliente: ogni realtà ha in sé un po’ di frío e un po’ di caliente in misura diversa, tale che alcune di queste possono essere definite più calientes o più frías di altre, ma mai essere totalmente caratterizzate da uno solo di questi estremi. Tale concetto, che possiamo definire di “contrapposizione e complementarietà”, i Nahua lo chiamano “unità dialettica” e lo esprimono in ogni campo. Per esempio, nel caso dell’uomo e dell’universo, secondo costoro esiste un rapporto necessario di dipendenza reciproca. Ne consegue che le azioni e il pensiero dell’essere umano si ripercuotono sull’universo; nella stessa misura, gli avvicendamenti astronomici e divini di quest’ultimo influiscono sugli avvenimenti umani. Per ciò considerano sacro l’ambiente e che il nostro benessere influisce su quello degli esseri sovrannaturali e su quello del mondo.

Si comprende, pertanto, come la compromissione di una parte, la rottura di un suo anello, pregiudicano l’equilibrio generale, della società, dell’uomo stesso. Oltre a quello appena visto di Uomo-Universo, un altro esempio è offerto dalle nozioni di vita e, per contro, di morte. Entrambe sono aspetti contrapposti della medesima realtà, che è l’esistenza terrena ed ultraterrena; senza l’una non esisterebbe l’altra (se non c’è vita non ci sarà decesso) così come neppure il concetto dell’esistenza. Una volta visti tali tratti del pensiero dei Nahua, ci sarà più facile giustificare alcune loro espressioni di ordine medico.

Da parte di costoro, così come di altri popoli precolombiani come gli Aztechi, la salute è intesa uno stato di equilibrio, mentre la malattia è considerata come la perdita di tale armonia (che loro chiamano tonal) sussistente fra l’uomo e l’ambiente in cui egli vive, e si manifesta pertanto come segno del sovvertimento delle regole nei rapporti dell’uomo con il cosmo.

Inoltre dichiarano una visione antropologica di tipo olistico, cioè nella quale l’essere umano è concepito come un insieme relativamente indissolubile di corpo, spirito o mente, della componente sociale e di quella affettivo-emotiva, a cui loro aggiungono elementi caratteristici quali il “movimento” (che chiamano ollin) e il tonal (una specie di aura armonica che fa comunque parte del corpo). Lo squilibrio anzidetto è definito dagli antichi popoli centroamericani “perdita del tonal” e scaturisce da un cambio dinamico che avviene nell’organismo olisticamente inteso, causata cioè, per usare le loro parole, dalla mancanza della sombra (componente spirituale) del corpo.

Le origini della malattia la classificano in quella di tipo naturale e quella di tipo magico e/o religioso. Quando è naturale si considera involontaria, ossia fisica, oppure volontaria: è causata, cioè, da una dieta insana, dal calo di energia, da uno squilibrio –perdita del tonal– delle polarità frío-caliente dovuto a cause eminentemente materiali che però agiscono nell’intimo della persona. Quella ti tipo religioso vede la sua causa nei castighi divini: gli dèi sono entità benevole ma che divengono malevole in caso di offesa perpetrata nei loro confronti (per violazione di tabù, conduzione di comportamento immorale, scarsità di sacrifici ecc.). Essi hanno elargito la vita all’uomo, il quale deve ripagarli in virtù di un tacito ma doveroso accordo stipulato per tale dono: in caso di mancato tributo (tramite preghiere, offerte, comportamento amorevole, sacrifici), pretenderebbero rivalsa sugli esseri umani.

Quando, invece, la causa è prettamente imputabile alla magia, lo stato di malattia viene considerato attuato da parte di individui terreni come i maghi ed i fattucchieri, e in tal caso può consistere in malocchio, susto (spavento) ecc. Un certo ruolo riveste pure l’astrologia: secondo il proprio giorno di nascita, una persona possiede un organo specifico maggiormente esposto al rischio di ammalarsi, fatto che però può essere modificato dal comportamento. Rispetto a quella degli esseri ultraterreni, la vulnerabilità dell’Uomo è amplificata poiché costui si trova in una posizione geograficamente centrale, quindi diviene un essere ambiguo per sua natura. Egli vive, in altre parole, in un limbo d’influenze contrapposte di alto-cielo e basso-inframondo, le quali gli garantiscono l’esistenza, ma gliela fanno condurre in maniera fragile o addirittura lacerante.

Espresso in termini cosmici, egli oscilla nella sua vita tra i due poli che si contendono l’universo: l’ordine ed il disordine, per cui in terra vive in una situazione di precarietà poiché in qualsiasi momento può infrangersi l’equilibrio degli elementi costitutivi della sua persona; di qui la facilità che egli incorra nel susto o espanto (spavento, che può portare alla “perdita dell’anima”) o nel contrarre malattie così come nell’estremo caso mortifero. Condizioni predisponenti allo stato di infermità sono rappresentate dal periodo infantile (per cui i bambini sono particolarmente bisognosi della cura genitoriale nonché di precauzioni rituali), da acidosi (da cui l’importanza di un sano regime alimentare e l’assenza di malattie metaboliche) e apatia (un comportamento torpido renderebbe vulnerabili le difese organiche).  

In quanto alla terapia, la medicina tradizionale messicana si avvale dell’utilizzo di un’ampia gamma di proposte terapeutiche. La cura specifica dipende da ciò che si ritiene causi lo stato di malattia. Quella religiosa è realizzata tramite preghiere, invocazioni, sacrifici, offerte, fabbricazione e detenzione di oggetti sacri, conduzione di vita altruistica, utilizzo di piante “enteogene” (ove si ritiene dimori o influisca la divinità eventualmente offesa): essa ha lo scopo di cattivarsi nuovamente la benevolenza divina nel caso l’infermità sia dovuta alla punizione celeste; tuttavia viene utilizzata, negli altri casi, come complemento ad altri tipi di terapia in modo da rinforzarne l’efficacia.

Quella magica è messa in pratica con la limpia, una sorta di purificazione dell’anima, o con altre cure “energetiche”. Mentre per la terapia empirica o naturale si utilizzano, per via orale o per apposizione, piante (fitoterapia, di tipo empirico), dieta (regime alimentare quanto più naturale possibile, che comprende anche il digiuno), minerali e animali, nonché del temascal, sauna purificatrice di anima e corpo; essa agisce eminentemente sul piano fisico, e ce se ne avvale perciò qualora lo stato di malattia sia da attribuire a semplici condizioni materiali. Fanno da complemento la danza, il canto, la purificazione corporea (tramite bagni frequenti e adeguatamente condotti). Le malattie, in ottemperanza al concetto del frío-caliente sono classificate in frías e calientes.

Pertanto, come cura, i Nahua, come i popoli precolombiani, propongono rimedi che siano contrapposti in relazione alla polarità anzidetta. Vale a dire che per una malattia ritenuta eminentemente fría consigliano una soluzione terapeutica di tipo caliente, e viceversa. La rivoluzione scientifica, sin dalla conquista spagnola, ha provocato una frattura tra mente e corpo, dissolvendo la visione olistica e polare dei Nahua fin a questo momento esposta. Ciò ribadisce come difficilmente sia risultato fecondo il compromesso culturale dell’incontro della civiltà ispanica con quella indigena, poiché entrambe detentrici di un diversa base antropologica.

Personaggi cui, nelle regioni dei Nahua, è affidata la terapia sono i guaritori. Costoro sono costituiti essenzialmente da quella categoria che viene definita degli sciamani (chamanes), i quali sono impersonati da svariate figure: i sacerdoti (sacerdotes o tepxtlatl, detentori del sapere religioso), i maghi (brujos, divinatori), i curanderos (curatori), i nagual (esseri sovrumani, dalla valenza terapeutica ambivalente poiché sia benevoli sia malevoli, che si accompagnano ad un alter ego animale), il tlamantini (religioso e medico azteco, caratterizzato dall’essere psicoterapeuta, maestro, dal compulsare molti libri), il ticitl (medico azteco che applica il metodo empirico, e che per la cura si avvale di pietre), i graniceros (influiscono sui fenomeni meteorologici volgendoli in condizioni migliori).

La figura assolutamente malevola è, invece, costituita dagli hechiceros ossia i fattucchieri. Tutte le classi di terapeuti si affidano, comunque, sempre alla preghiera previa il loro operato rivolta alla Divinità, poiché alla base di ogni manifestazione di malessere viene posta l’importanza, se non la causa principale, della compartecipazione divina.