30 luglio 2008. - Che cielo, il cielo di notte ad Hardeman! Le stelle brillano a meraviglia nell’oscurità profonda. Mi ricordano lo spettacolo che si gode sul Gran Sasso d’Italia nelle notti di mezza estate. D’altronde qui non esiste disturbo di luci artificiali, né l’aria è malata di smog. Giorni fa sono partito da Santa Cruz de la Sierra per Hardeman, 180 km. verso nord, cinque ore di viaggio su un vecchio autobus da trenta posti, di quelli che si usano da queste parti in Bolivia, chiamati “micro”, che sembrano muoversi per miracolo. Strada per due terzi asfaltata, gli ultimi sessanta chilometri in terra battuta. Sobbalzi, buche e nuvole di polvere da annebbiare la vista. Lungo il percorso, dopo Montero, ultima città degna di questo nome, piantagioni a perdita d’occhio di canna da zucchero, mais, soia, sorgo, patata e grano, ma anche ortaggi e agrumi. E poi ganados, allevamenti, bovini e ovini allo stato brado, all’ombra di palme o d’imponenti alberi di mango. Lungo il percorso ogni tanto s’incontra qualche villaggio di baracche di tavole, piantate su terra nuda e coperte con frasche di palma. Tanti i bimbi, in questi posti di campesinos, tanti gli animali da cortile che nell’habitat con loro convivono. Solo chiesa e municipio, di mattoni rossi, nei villaggi esprimono una qualche architettura. Talvolta si nota qualche casetta in muratura sommaria che sostituisce la diffusa baracca di legno. Il pulmino si ferma ogni volta che quando qualcuno sta in attesa lungo la strada, fino a riempire ogni spazio disponibile, in piedi.

Mineros, Sagrado Corazon, San Pedro i paesi più grandi lungo la via, ma è inutile cercarli sulle carte. Quindi Hardeman, con i suoi quattromila abitanti. Poi la strada sterrata prosegue verso nord per altri cento chilometri, fino a Los Limos. Hardeman è abbastanza diverso dagli altri villaggi. Lo si vede subito entrandovi da un gruppo di piccole case in muratura, sedici tutte uguali, ma diversamente colorate con tinte pastello. Davvero una novità rispetto alla norma di capanne o sciatte murature. Appena arrivo nell’accogliente dimora delle Missionarie della Dottrina Cristiana, ricca di piante e d’essenze fiorite, di quella singolarità chiedo ragione a suor Anna Andreucci, originaria di Bominaco in provincia dell’Aquila, giunta nel ’89 in questi posti dei quali ormai sa ogni cosa. Per conto dello stato, cura la direzione didattica sulle scuole d’un ampio distretto, muovendosi agilmente, a dispetto dell’età, con il suo fuoristrada. Quel gruppo di case, mi dice, è solo una delle tante opere nate grazie a padre Remo Prandini, il salesiano bresciano tragicamente annegato nel fiume in piena il giorno di Natale del 1986, che qui ad Hardeman è ricordato con affetto e venerato da tutti come un santo, in raccoglimento sulla sua tomba posta accanto all’ingresso della chiesa.

Era arrivato nel 1975, padre Remo, in quello che allora era un villaggio di poche capanne nella foresta amazzonica. Portò per undici anni istruzione per i ragazzi, per gli ultimi difesa dei diritti e coscienza civile tra i campesinos che cominciavano a popolare quest’area sperduta della Bolivia, ricompresa tra il Rio Piray ed il Rio Grande, man mano conquistata all’agricoltura a scapito della rigogliosa foresta amazzonica, arretrata ora di alcuni chilometri. Appunto quel “quartiere modello” di Hardeman è uno dei tanti esempi della generosità italiana in ricordo del salesiano. Dopo la sua morte una gran quantità di aiuti sono arrivati dall’Italia, gestiti in loco direttamente dall’Associazione Padre Remo Prandini, costituita a Lodrino in Valtrompia da familiari ed amici del religioso, o dall’Organizzazione Mato Grosso - che già dava una mano a padre Remo - o dalle Missionarie della Dottrina Cristiana con fondi di solidarietà loro pervenuti dall’Abruzzo e da altri benefattori italiani. Le Missionarie, giunte ad Hardeman nell’ottobre ’86, appena due mesi dopo il loro arrivo si trovarono a dover raccogliere e continuare il generoso impegno civile e spirituale di P. Remo, curandosi della scuola e delle altre opere. Ebbene, con aiuti di benefattori italiani, le suore hanno realizzato ben sessanta casette in muratura (circa 50 mq), consegnate alle famiglie più povere.

Ogni struttura civile ad Hardeman ricorda questo religioso: il “Colegio P. Remo Prandini”, complesso davvero moderno come un campus, con tutti i cicli di scuola primaria e secondaria; il Centro Medico funzionante 24h, una specie di pronto soccorso con sei posti letto, per partorienti ed altre patologie d’urgenza; la piazza con il monumento a lui dedicato; il Centro polivalente annesso alla chiesa parrocchiale; la Scuola materna gestita dalle Missionarie, realizzata con i fondi della Caritas di Sulmona, la città di Ovidio, in Abruzzo. Le Missionarie, inoltre, stanno costruendo un moderno forno con panetteria, che sarà dato in gratuita gestione ad una cooperativa a tal fine costituita. E’ poi in via di completamento l’ospedale, tre padiglioni per tutte le specialità, dono della solidarietà d’un imprenditore italiano, Sergio Marchetti, giunto in questa zona alcuni anni fa dal Brasile, dov’era emigrato anni prima. Qui ora conduce un’agricoltura intensiva d’avanguardia, dando molta occupazione. Tutte le modernità di Hardeman portano dunque l’impronta italiana, un vero orgoglio. Ma punto di riferimento del paese sono le Missionarie, in particolare le suore abruzzesi: madre Maria Grazia Lepore - la superiora, nata a Corfinio in provincia dell’Aquila, nominata cittadina onoraria di Hardeman, che sovrintende alle ragazze ospiti della casa, ai laboratori di sartoria ed alla scuola materna - e suor Anna Andreucci, alla quale tutti si rivolgono anche per le sue capacità nelle relazioni con le autorità costituite.

Ed è proprio vero. Il 18 luglio scorso era gran festa ad Hardeman. Si celebrava il 40° anniversario dalla fondazione e il villaggio imbandierato viveva un’atmosfera di fervore in ogni suo cittadino. Davanti la sub-alcaldia - il municipio sta a San Pedro - un grande schieramento di autorità giunte per l’occasione da Santa Cruz: il rappresentante del Governatore, il vice Prefetto, il Provveditore all’Istruzione, il Direttore della Sanità del Dipartimento, un consigliere del Dipartimento (Regione), il Sindaco e varie altre figure istituzionali. Il cerimoniale prevedeva, prima che l’intera comunità di Hardeman sfilasse con colori ed insegne sociali (scuole, professioni, mestieri, sindacati e associazioni) davanti alle autorità, una lunga serie di discorsi ufficiali. Quasi tre ore d’interventi politici sullo stato di salute del paese, sulle opere in programma per migliorarne il volto, sugli impegni promessi per il futuro, con intermezzi musicali di Aldo Peña, noto cantautore boliviano. Richiesta d’un intervento, anche suor Anna Andreucci, ha portato il suo contributo.
Discorso conclusivo il suo, da vox populi. Rispettoso nei toni, ma vigoroso quanto lucido sui più importanti problemi ancora irrisolti. Ha richiamato ciascuna autorità alle proprie responsabilità ed all’assunzione dinanzi al popolo d’impegni veri e precisi, anche riguardo i tempi di soluzione. Ne ha elencato le priorità, quali la costruzione della strada in asfalto almeno fino ad Hardeman e d’una barriera che eviti al paese le periodiche inondazioni dal Piray, il rilascio urgente delle autorizzazioni necessarie per il completamento e l’apertura dell’ospedale, il trasferimento ad Hardeman, in quanto paese più popoloso, della sede del distretto scolastico. Ciascuna autorità s’è sentita in dovere di fornire assicurazioni puntuali. Suor Anna dava a loro una stretta di mano, ricordando che nella tradizione italiana quel gesto conta più d’un contratto. Queste le Missionarie della Dottrina Cristiana ad Hardeman. Non solo infaticabili costruttrici di progresso e buone opere, ma anche riconosciute figure di Difensore civico. Chi l’avrebbe mai detto!

 

*gopalmer@hotmail.com – componente del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo (Cram)