La Targa della Maldicenza Socrates Parresiastes a Giuseppe De Rita
Al Presidente del Censis il premio per il 2008 dell’antica
 tradizione Agnesina, Di Goffredo Palmerini *

Foto R. Vitturini28 maggio 2008. - E’ stata conferita a Giuseppe De Rita la Targa “Socrates Parresiastes” per l’anno 2008, così come deliberato dalla Confraternita dei Devoti di Sant’Agnese. Ne ha dato motivazione il presidente della Confraternita, Tommaso Ceddia. “Da molti anni – ha detto il prof. Ceddia – Giuseppe De Rita si distingue per le analisi puntuali e franche riportate nelle relazioni annuali del Censis, in ordine alla politica, all’economia e all’assetto sociale dell’Italia. (…) L’ultima relazione è stata ripresa e commentata con grande interesse. Italia a coriandoli, mucillagine, disintegrazione sociale sono diventate espressioni comuni, come le differenze di rappresentanza tra identità e appartenenza. Alcuni lo hanno giudicato pessimista. (…) In realtà il dr. De Rita ha esposto una diagnosi vera, franca, coraggiosa e autorevole”. Sta tutta qui dunque la ragione dell’assegnazione al presidente del Censis della Targa “Socrates Parresiastes” – il termine parresia si traduce con l’espressione “dire la verità” - , in quanto Personalità che nel suo impegno di massimo studioso dei fenomeni sociali, per la franchezza e la genuinità delle sue riflessioni, promuove la verità. Quella verità che ha contribuito a rendere grandi Socrate, Diogene, Giovanni Battista, Foscolo, Montanelli e tanto altri. Il riconoscimento a Giuseppe De Rita segue quello conferito nel 2007 a Remo Bodei, docente alla University of California di Los Angeles, tra i più autorevoli filosofi al mondo ed insigne studioso di Michel Foucault, filosofo francese scomparso nel 1983. Negli ultimi anni di vita Foucault aveva istituito, all’Università di Berkeley, un corso sulla problematizzazione della parresia, sulla rilevanza che nelle società moderne possono assumere i parresiasti, cioè coloro che hanno il coraggio di dire la verità e di viverla, con schiettezza ed autorevolezza. La Maldicenza della tradizione Agnesina aquilana, se da un lato non ha la pretesa d’incarnare nella compiutezza degli aspetti filosofici la parresia, ha tuttavia sempre cercato d’assumere una funzione civile e comunitaria. Non dire mai male di qualcuno, ma “il male”: questo lo spirito della Maldicenza Agnesina, che non scade mai nella malizia, nella malignità o nella cattiveria. L’Agnesino dice quel che pensa e agisce come parla. Parlar chiaro davanti a tutti per attestare un bene comune, o difenderlo con tenacia, è qualcosa che sta quindi molto vicino alla parresia. Dunque, dire la verità con libertà, non mentire, non adeguare le proprie convinzioni alle convenienze di turno, ma esprimerle con coraggio e dignità.

La consegna della Targa è avvenuta venerdì sera nel corso d’una intensa cerimonia nella sala delle Assemblee della Cassa di Risparmio dell’Aquila, presenti le massime autorità regionali e cittadine ed un pubblico numeroso, molto interessato ad ascoltare le “maldicenti” argomentazioni dell’illustre ospite, secondo la tradizione aquilana della festa di Sant’Agnese. Occorre tuttavia richiamare alla memoria che la Santa martire c’entra poco o niente con questa festività tutta civile votata alla Maldicenza, che affonda le sue radici nel Trecento, se non per il fatto che in un monastero a Lei dedicato venivano ospitate le “malmaritate” – donne già di facili costumi, da redimere – che di giorno venivano impiegate in faccende domestiche nelle dimore dei benestanti e potenti della città, mentre a sera rientravano nel monastero dove avevano accoglienza. Ma il 21 gennaio, giorno della festività religiosa di Sant’Agnese, all’Aquila era tassativamente vietato lavorare e le malmaritate si ritrovavano nelle bettole della città insieme alla gente del popolo per dire il male fatto dai signori e potenti presso i quali erano a servizio. Questa singolare e strana festa, solamente aquilana, ha elevato per secoli la Maldicenza a virtù civica. La tradizione Agnesina della Maldicenza, infatti, rifugge dal pettegolezzo. E’ invece critica fortemente mordace, schietta e con spirito costruttivo, talvolta con il ricorso a salace ironia, nel dire la verità in assoluta libertà. Insomma, un ulteriore elemento della forte impronta libertaria della comunità aquilana, che sin dalla fondazione della città, a metà del Duecento, aveva sempre coltivato uno deciso spirito autonomistico e ribelle. La festa, tramandatasi nel corso dei secoli attraverso le “confraternite” popolari, si arricchì nell’Ottocento anche con sodalizi borghesi e nobili. Messa al bando dal regime fascista, che ne temeva lo spirito critico e libertario, solo alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso risorse con rinnovato fulgore con la costituzione di centinaia di confraternite che il 21 gennaio d’ogni anno “celebrano” la festività riunendosi intorno a tavole imbandite e “maldicendo” - cioè “dicendo male del male” - secondo l’atavica libertà civile aquilana.

E’ stato il presidente della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco - consegnando la Targa al premiato - a richiamare il valore e l’opera di Giuseppe De Rita, con un ricordo all’ultracinquantennale amicizia con l’insigne studioso, nato a Roma nel 1932 da famiglia d’origine molisana, regione allora unita all’Abruzzo. Ne ha tracciato il rigore intellettuale e le qualità, virtù subito messe in evidenza già dal 1955, quando De Rita iniziò la sua lunga carriera accanto al gotha del pensiero economico e sociale cattolico, quali Ezio Vanoni, Pasquale Saraceno e Giulio Pastore. Quindi Del Turco ha sottolineato l’importanza del Censis, di cui De Rita nel 1964 è tra i fondatori. Molti in Italia i Centri Studi, negli anni sessanta e settanta, caratterizzati però dal “pregiudizio ideologico”. Al contrario del Censis, le cui relazioni – benché criticate ed osteggiate al momento – si sono poi sempre dimostrate “vere” nell’analisi e nelle terapie proposte, tanto da essere un riferimento imprescindibile d’ogni seria valutazione della realtà sociale italiana.

Tutto il pubblico, a questo punto, attendeva una riflessione da parte del prof. De Rita, che non è mancata. Intanto - ha dichiarato il prof. De Rita - la curiosità, l’originalità di tale tradizione, i principi che da secoli l’animano ed una sorta di piacere “narcisistico” nell’essere riconosciuto come personaggio capace di dire le cose come stanno, l’hanno indotto ad accettare il premio “Socrates Parresiastes”.  Poi ha preso un po’ le distanze – per una sorta di modestia - dal personaggio che predica la “verità”, sia declinata in terra come a maggior ragione quella trascendente, con la lettera maiuscola. Più aderentemente De Rita preferisce definirla “realtà”. Egli è un “monaco delle cose”, secondo una definizione in cui pienamente si ritrova. Egli per mestiere “annusa”, osserva e descrive la realtà in giro per l’Italia.. Quella stessa che spesso la politica e il potere stentano a riconoscere, se non dopo anni, come capitò quando in una relazione del Censis all’inizio degli anni settanta parlò del “localismo”, analizzando il fenomeno tessile di Prato e della economia sommersa che lo riguardava, suscitando reazioni e critiche. Quella “realtà” attese decenni per essere riconosciuta e metabolizzata. Il tempo che vive L’Italia, sebbene con una difficile congiuntura, fa descrivere a molti un declino che non c’è, coloro che ne parlano forse ne avvertono la percezione che non va confusa con la realtà.

De Rita ha quindi fotografato in quattro punti l’odierna “realtà” italiana: localismo, identità anziché relazione, il “qui e subito”, il ritorno del sacro sul santo. Ne ha tratteggiate con rigore analitico le caratteristiche, che riconducono a quell’Italia a coriandoli, dei particolarismi che non si legano ad unità e a sistema. Non ha tratto giudizi, lasciati a chi ascolta. Ne viene fuori un Paese – questa la valutazione tratta da chi scrive - chiuso nei particolarismi e sempre più spesso negli egoismi, dove la pratica ossessiva dell’identità fa perdere le coordinate della vita di relazione degli uomini e delle comunità, alimentando la paura dell’altro, specie quando è culturalmente diverso. Attenuato il senso del processo storico e sociale, si preferisce vivere e godere il presente, senza riferimenti nel passato e senza riguardo per l’avvenire. Persino il senso religioso – il prof. De Rita ha chiesto venia all’arcivescovo Giuseppe Molinari, che l’ascoltava, per questa osservazione – tende a ritirarsi nel “sacro”, in una contemplazione verticale con Dio, piuttosto che frequentare “il santo”, seguendo le indicazioni del Concilio Vaticano II, ossia il difficile cammino nella storia dell’umanità, nel mondo di oggi, sporcandosi le mani per cambiarne il corso e riconoscendo Cristo nei poveri, negli emarginati, nei sofferenti e anche nei migranti. Ecco, questa “realtà” andrebbe superata per recuperare una società più aperta, giusta e solidale, più unita e segnata dalla speranza, piuttosto che dalla paura. Queste, dunque, le impressioni ricavate dalla conversazione del prof. De Rita, già presidente del Cnel dal 1989 al 2000, collaboratore del Corriere della Sera, dal 1995 presidente della casa editrice Le Monnier e membro della Fondazione Italia-Usa. A conclusione della cerimonia il Sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, ha donato a De Rita una targa d’argento con su scritto “A Giuseppe De Rita, aquilano”. Già, perché un Agnesino “maldicente” può essere solo aquilano!

 

* gopalmer@hotmail.com - componente del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo