22 agosto 2012 - Farina di granoturco e acqua, niente di più semplice. È questa la ricetta base per realizzare la polenta, il più classico cibo dei poveri che ha sfamato intere generazioni di contadini bergamaschi, tanto da diventare uno dei simboli della cucina più rustica e popolare. Ma anche da essere in grado di presentarsi con successo alle tavole più ricche, magari insieme alla carne. Nell'immaginario collettivo e nell'iconografia classica, la polenta è quasi sempre accompagnata da un paiolo in rame, da un bastone per tramestarla, da uno scoppiettante fuoco a legna e da un tagliere sul quale versarla a cottura avvenuta. Forse per questo i tradizionalisti storceranno un pò il naso sentendo parlare di PolentOne e della sorprendente avventura imprenditoriale del bergamasco Marco Pirovano, che nel giro di un paio di anni ha aperto una serie di negozi di polenta take away in provincia di Bergamo e a Brescia. E che per la fine di settembre si appresta ad inaugurare il suo primo locale a Milano, in piena Città Studi.

 

La macchina per la cottura della polenta servita alla spina.

 

«È un passo importante - spiega Pirovano -. Mi sono deciso ad aprire un PolentOne nel capoluogo lombardo solo quando ho visto che molti dei clienti dei due negozi di Bergamo raccontavano che erano venuti appositamente da Milano per mangiare la mia polenta. Per me questo ha rappresentato una grande soddisfazione e uno stimolo in più. Senza poi dimenticare che il nuovo take away si troverà a due passi dall'Università, vicino una potenziale clientela composta di studenti che tra una lezione e l'altra ha sempre poco tempo da dedicare al pasto di mezzogiorno».

 

Uno dei ristoranti PolentOne.

 

Pirovano è cresciuto a Celadina, ha cominciato insegnando arti marziali nelle palestre cittadine e ha continuato la sua avventura girando mezzo mondo, tra Australia e Caraibi, lavorando in ristoranti e pizzerie. La sua intuizione è stata quella di prendere un piatto che già di per se è popolare per storia e tradizione, e di renderlo ancora più popolare attraverso prezzi accessibili e alla portata di tutti. Il tutto senza la pretesa di aprire un ristorante e di mettersi in competizione con i professionisti del settore, ma semplicemente ponendosi sullo stesso piano di chi confeziona cibo da strada pronto uso, come fanno i vari kebab e piadinerie.

L'idea si è rivelata vincente, come si è visto già con l'apertura del primo negozio avvenuta nel febbraio dello scorso anno in Borgo Santa Caterina a Bergamo, e poi con le altre inaugurazioni realizzate grazie all'agile formula del franchising. Il secondo take away della polenta è stato aperto in piazza Mercato delle Scarpe, in Città Alta, attirando così l'attenzione di molti turisti. Poi, a seguire, sono arrivati quello di Treviglio e quello di Brescia, grazie alla collaborazione con il cantante Omar Pedrini, socio Vip di Marco Pirovano nel PolentOne bresciano e noto appassionato di cose nostrane. Chi vuole gustare una buona polenta d'asporto può accompagnarla con i diversi sughi a scelta (tra questi capriolo, cinghiale, ragù di chianina, zola, taleggio, branzi) e sempre nelle due versioni bramata gialla o taragna. E sono stati davvero tanti quelli che l'hanno assaggiata nei giorni frenetici dell'ultima Festa della Dea, dove Marco Pirovano, grande tifoso atalantino, era presente in prima persona a distribuire polenta. La sua avventura sembra avere in vista anche clamorosi sviluppi, visto che dopo l'apertura a Lecco in programma per i prossimi mesi, il marchio bergamasco potrebbe a breve sbarcare addirittura a New York o a Mosca.

«È vero - conferma Pirovano -. Ci sono dei contatti in corso e il progetto è ben avviato. Certo, non sono cose che si fanno in due giorni, ma l'idea di portare il piatto bergamasco per eccellenza in altre nazioni è davvero stimolante. E i Paesi nordici, soprattutto, per affinità alimentari, sono i più adatti a questo tipo di proposta».

Certo, la polenta take away non sarà paragonabile a quella della versione più romantica e classica alle quali siamo abituati, perché la liturgia della tradizione e il fascino del piatto contadino qui inevitabilmente si perdono. Ma in tempi di fast food e di cibo spazzatura forse il recupero delle tipicità nostrane e lo sviluppo di un modo per attrarre i consumatori più giovani passa anche attraverso questa strada.

 

(corriere.it / puntodincontro)

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22 de agosto de 2012 - Harina de maíz y agua, nada podría ser más sencillo. Esta es la receta básica para hacer polenta, la comida más típica de los pobres que ha alimentado a generaciones de agricultores de la zona de Bérgamo, convirtiéndose en un símbolo de la cocina más rústica y popular. Pero también capaz de llegar con éxito a las mesas de los más ricos, muchas veces acompañada con guisados de carne o pollo.

Casi siempre la gente se imagina a la polenta en una olla de cobre, con un cucharón de madera para revolverla, el fuego de la chimenea y una tabla de cortar sobre la que se verterá una vez que esté cocida. Tal vez por esto algunos tradicionalistas se sentirán ofendidos cuando se enteren de la existencia de PolentOne y de la asombrosa aventura de Marco Pirovano, un emprendedor de Bergamo que a lo largo de un par de años ha abierto una serie de tiendas de polenta para llevar en las zonas aledañas a su ciudad y a Brescia. Y que, a finales de septiembre, estará abriendo su primer restaurante en Milán, en pleno centro de la Ciudad de los Estudios.

 

El aparato para cocer la polenta "de barril".

 

 

"Es un paso importante —explica Pirovano—. decidí abrir un PolentOne en Milán cuando vi que muchos de los clientes de las dos tiendas en Bérgamo dijeron que habían venido especialmente desde Milán a comer mi polenta. Esto me provocó una enorme satisfacción y se convirtió en un estímulo adicional. Sin olvidar que la nueva sucursal estará a un paso de la universidad, cerca de una clientela potencial de estudiantes que entre una clase y otra siempre tienen un poco de tiempo para dedicar a la comida del mediodía".
 

Uno de los restaurantes PolentOne.

 

Pirovano creció en el el barrio de Celadina, enseñó artes marciales en gimnasios de la ciudad y continuó su aventura recorriendo el mundo, incluyendo Australia y el Caribe, trabajando en restaurantes y pizzerías. Su intuición consistió en transformar un platillo que de por sí es muy conocido por su historia y tradición, para llevarlo a niveles de popularidad aún más altos con precios accesibles y al alcance de todos. Todo ello sin la pretensión de abrir un restaurante y competir con los profesionales, sino simplemente poniéndose en igualdad de condiciones con quienes preparan los alimentos listos para ser consumidos, como los kebabs y las piadinerías.

 

(corriere.it / puntodincontro)