La fotografia si fa
mestiere per donne

Sorprende lo sguardo femminile nella mappa degli autori
 italiani alla Fondazione Sandretto.

Via Trieste è il titolo dell'immagine realizzata nel 2009 da Maria Luisa Calosso.7 ottobre 2009. - Una ragazza in sottoveste ora legge libri sul pavimento di una stanza spoglia ora strappa con rabbia la tappezzeria dalle pareti. È il mondo quasi «nordico» e un po’ «Francesca Woodman» (la fotografa americana che esprimeva il proprio disagio esistenziale riprendendosi in stanze vuote) di Maria Luisa Calosso, la ventitreenne rivelazione di questa nuova tappa di «Da Guarene all’Etna», il progetto curato da Filippo Maggia per la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.

Sono 34 gli autori coinvolti nella mostra aperta a Guarene, sintesi di un lavoro di ricognizione sulla nuova fotografia italiana avviato dieci anni fa a Taormina.

La pattuglia che allora idealmente riprendeva il discorso del «Viaggio in Italia» di Ghirri & C. si è via via rimpolpata per raccontare le mutazioni anche antropologiche del paesaggio italiano.

I veterani di dieci anni fa ci sono ancora: qualcuno, come Francesco Jodice, ha preso strade in cui la fotografia diventa metafora (pur chiamandosi Fotografia italiana, la sua opera è un’installazione boltanskiana con ritagli di giornali che testimoniano il «declino» del nostro paese), altri sono maturati, a volte perdendo però la freschezza di allora (i campi di calcio di Olivo Barbieri avevano una forza che il suo lavoro sull’autodromo di Monza non riesce a ritrovare).

C’è chi ha mantenuto intatto il suo stile come Luca Campigotto che passa, sempre in uno scultoreo bianco e nero, dalla Roma monumentale di allora alle montagne della prima guerra mondiale, chi come Enzo Obiso aggiunge alle immagini siciliane quelle di angoli del Piemonte in una sorta di stanza della memoria, chi come Andrea Abati punta su un lavoro estremamente concettuale dove Benjamin si sposa alla solitudine dei party, mentre Carmelo Nicosia realizza opere quasi astratte con le immagini in bianco e nero delle ali di un aereo. E per rimanere al bianco e nero (interessante come non solo sia ancora in auge ma venga riscoperto), Biasiucci passa dai magmi alle forme di pane che sembrano pietre.

Tra le new entry di questi anni Eva Frappicini, nata nel ’79, ci racconta gli interni dei container in cui vivono i rom (la sorpresa è che ti sembra di rivedere a colori quelle stanze sull’Italia Anni 70 di Berengo Gardin), la Di Cicco mette a confronto coppie di madri giovani con figlie teenager, Paolo Bernabini si sofferma sugli italiani a Mirabilandia, Francesco Zucchetti ambienta lo smarrimento degli adolescenti in cantieri di strade e ferrovie. Talora sono evidenti i modelli, ad esempio Minor White e i grandi americani della fotografia naturalistica, come per Valentina Mezzanatto, ma sovente nei confronti di modelli non solo d’Oltreoceano non c’è nessun complesso d’inferiorità, pensiamo alle straordinarie camere operatorie di Pino Musi o ai neonati di Luigi Gariglio.

Non mancano opere di sottile poesia come quelle di Martina Della Valle che fotografa carte da parati di stanze abbandonate (lavora tra Berlino, Firenze e Milano). Un altro triangolo di città questa volta magico (Praga, Lione e Torino) lo ritroviamo nel lavoro by night di Annalisa Sonzogni. Altre città, ma in visione diurna, nel lavoro di Cristiano Berti. Interessante l’interpretazione del giro d’Italia offerta da Daniele De Lonti: i ciclisti sono una scia che passa tra gente e palazzi.

Complessivamente la mostra fa ben sperare sul futuro della fotografia italiana: qualcuno è già pronto a fare il salto nel giro ristretto dei big, altri si stanno facendo le ossa. Molto interessante è poi la folta presenza femminile: quello che almeno in Italia non sembrava un «mestiere» da donne si rivela grazie a «Da Guarene all’Etna» un luogo dove le donne hanno a volte più cose da dire, soprattutto quando come la Calosso (o Sabine Delafon con gli autoscatti sulla propria gravidanza) non esitano a mettere in gioco il proprio corpo.

 

(La Stampa)