Relazioni che vincolano
la lingua e la gastronomia
Conferenza dettata da Isabella Spagnuolo presso l'Istituto Italiano di Cultura
di Città del Messico in occasione della VI Settimana della Lingua Italiana.

CITTÀ del MESSICO, 29 ottobre 2006. - Se per quanto riguarda il binomio cultura/gastronomia le relazioni sono innumerevoli, dato che nella gastronomia si inscrivono tra gli altri dati geografici, storici, economici, desumibili dagli ingredienti, il luogo d’origine e l’epoca in cui dati piatti hanno incominciato ad elaborarsi, per quanto riguarda invece il binomio lingua-gastronomia le relazioni sono a prima vista meno evidenti, io evidenzierei almeno tre relazioni rilevanti tra lingua e gastronomia, intesa la prima come l’insieme delle regole grammaticali e lessicali per mezzo delle quali si comunica e la seconda come l'insieme delle regole e delle usanze che costituiscono l'arte della buona cucina.

Accennerei quindi al fatto che queste due discipline, la lingua e la gastronomia, mantengono tra loro almeno tre relazioni molto strette: una lessicale, una genealogica e una strutturale.

Diciamo che se analizziamo questa relazione dal punto di vista linguistico troviamo che tanto la lingua come la cucina convergono sull’organo della lingua come strumento conoscitivo e potremmo stabilire una equazione logica secondo la quale la lingua parlata sta alla letteratura, come la lingua organo del gusto sta alla gastronomia.

Questo parallelismo è confortato da alcune coincidenze lessicali, dato che si “gusta” tanto un testo letterario come un buon alimento, entrambi rappresentano un piacere quindi, vincolato con l’oralità non solo lessicale, ma anche inconscia, secondo la psicoanalisi, la quale sostiene que il desiderio di assimilare conoscenze è un sublimazione, cioè grosso modo una neutralizzazione della pulsione orale originaria, con uno spostamento del suo oggetto che da cibo assimilato diventa lettura assimilata, praticamente ci si nutre sublimatamente di libri anzichè di cibo. Questa consonanza fa parte anche dell’inconscio linguistico, dato che il verbo sapere si utilizza tanto nel senso di conoscenza intellettuale, il sapere, come di consocenza discriminativa rispetto al gusto, infatti si dice: “di che cosa sa? Dante così si esprime nell’uso di questa connotazione del verbo: “Tu proverai sì, come sa di sale lo pane altrui (Paradiso, Canto XVII, 58).

In effetti tanto sapere, come sapore derivano dal latino sàpere che significa degustare.

Essendo la lingua il medesimo organo per entrambi i saperi la cosa non sarebbe molto singolare, ma sta di fatto che il bebè come qualsiasi studio sullo sviluppo infantile rivela e ogni mamma sa, conosce proprio con l’ organo della bocca e si porta tutto alla bocca in un gesto che esplora il “che cos’è” propio in queste due connotazioni del verbo sapere, il bimbo vuole sapere e vuole sentire il sapore, insomma vuole conoscere, “sàpere”, l’oggetto nella sua completezza. Inoltre dal verbo càpere, che significa prendere, coniugato nel presente “capio”, cioè “prendo”, che risale a sua volta al greco kaptw, deriva la parola cibo, che si capta quindi come si capta anche un’idea.

A questo punto le coincidenze sono davvero tante per non richiamare l’attenzione sul fatto che il sapere e il sapore hanno molto più in comune di quello che siamo soliti pensare. Citerò a questo proposito il pensiero del Manno: “Questo vocabolo, dalla bocca (...) salì alla reggia del cervello, ad esprimere tutto ciò che si apprende con la mente, ma il sapere partito dalla lingua dee alla lingua tornare, e chi non puo esprimere bene quello che sa, è quasi come non sapesse” (in “sapere” nel Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana Copyright 2004 www.etimo.it )

Se invece analizziamo la relazione lingua/gastronomia dal punto di vista storico/etimologico, scopriamo che se applichiamo lo studio dell’etimolgia al nome di alcuni piatti gastronomici emerge non solo la genealogia degli stessi, ma la storia e la geografia della zona d’origine di quei piatti, farò degli esempi del nord Italia perchè questa è la mia zona d’origine, ma ce ne sono a iosa per la miriade di piatti regionali italiani e la moltitudine di dominazioni che abbiamo avuto. Per esempio, parlerò dei canederli, che sono delle polpettine a base di pane raffermo, latte, uova prezzemolo, e normalmente cubetti di speck, che si cuociono in brodo, il medesimo piatto viene preparato nell’Austria del sud cioè in Tirolo dove si chiama Knödel che a sua volta deriva dal tedesco antico Knöde, parola che significa gomitolo, data la forma di queste polpettine. Risalendo per altro il percorso del piatto si scopre che ebbe origine in Boemia e che arrivò in Austria nella seconda metà del 700 quando Praga capitale della Boemia, cadde sotto il dominio austriaco durante il regno di Maria Luisa d’Austria, dato che in questo periodo arrivarono molte cuoche a servire presso le famiglie nobili della corte viennese e passò in Italia dopo la prima guerra mondiale quando il sud Tirolo divenne italiano (Ferdinando Tessadri, in Civiltà della Tavola, AIC settembre 2006). Altro piatto dalla cui analisi etimologica si desume la storia, sono gli gnocchi, piccoli noci di pasta di patate, farina di frumento e uova che si servono come primo piatto, ma che in Bavaria sono molto più grossi e si servono come accompagnamento alla carne e si chiamano nock-en che deriva da Knochel vuol dire appunto noce, nodo. Questo ci riporta alla dominazione austriaca nel lombardo veneto nell’Ottocento e ci svela che questo piatto per molti italianissimo, addirittura parmense, probabilmente non lo è affatto, almeno nella sua versione a base di patate (http://www.taccuinistorici.it/index.php Epoca medioevale, pasta e cereali - http://www.etimo.it/gnocchi).

Poi vi è una terza relazione tra lingua e gastronomia che vorrei mettere in evidenza, questa è meno apparente, più profonda ed è la relazione strutturale che vi è a partire da quella che aveva evidenziato Levi Strauss ne “Il totemismo oggi (1962) e nelle sue Mitologiche scritte tra il 1964 e il 1971, che si articolavano in quattro tomi “Il crudo e il cotto”, “Dal miele alle ceneri”, “L’origine delle buone maniere a tavola”, e “L’uomo nudo” dove dimostrava che tra cibo e cultura esistono delle corrispondenze che strutturano la società come ad esempio nel totemismo degli indiani del nord america, per fare un esempio vicino a noi, dove l’animale totemico, cioè l’animale rappresentato dal totem, non rappresenta solo un cibo ma una legge che struttura l’intera società. Dato che da un lato rappresenta un clan e automaticamente stabilisce le leggi per i matrimoni che devono essere esogamici rispetto al clan, proibendo conseguentemente i matrimoni incestuosi e inoltre il rispetto e la cura che si deve a questo animale, attraverso una serie di tabù e rituali a lui dedicati, organizza per esempio simultaneamente il tempo della caccia e del divieto della stessa, ciò che si puo mangiare o utilizzare dell’animale, come e quando farlo, chi se ne deve prendere cura e chi no: per questo e altre relazioni simboliche più profonde Levì Strauss affermerà il noto aforisma secondo il quale: “il totem è buono non da mangiare ma da pensare”.

Inoltre il preparare i cibi cucinanadoli, come viene da lui descritto nel “Crudo e il cotto” rapprensenta proprio il passaggio dalla natura, e quindi dal vivere secondo gli istinti biologici, alla cultura e cioè al vivere secondo la tradizione che si trasmette da una generazione all’altra. Anche la parola “cultura” è strettamente legata all’alimentazione, in quanto questo vocabolo condivide l’etimologia con “coltura” ovvero coltivazione ed entrambi i vocaboli derivano dal latino “còlere” ossia coltivare e quindi ci rimandano alla prima attività non solo colturale, ma anche culturale dell’uomo: l’agricultura. Così come abbiamo visto che la lingua ci rinvia alla prima attività di conoscenza dell’uomo che vuole “sàpere”. E con ciò credo di aver dato un assaggio del fatto che il cibo e la gastronomia con cui viene elaborato esprimono, in una specie di metafisica, la genealogia, la struttura, la storia e la geografia di una data società.

 

Isabella Spagnuolo
Delegata Accademia Italiana della Cucina