Dennis, nessun pentimento
e fiducia a Coughlan
La beffa McLaren.

Jean Todt e Ron Dennis.29 luglio 2007. - Le storie sono due: il campionato e le spie. Adesso possiamo leggerle in parallelo, dal primo Gp in Australia alla sentenza del Consiglio mondiale della Fia che giovedì ha lasciato impunita la McLaren. Il trait d’union è Ron Dennis, l’uomo che sapeva e sosteneva di non sapere, che sfruttava le informazioni ricevute perché erano delazioni e proponeva trattati di pace agli avversari dopo averli fregati, che piangeva la sua estraneità e che rinnovava il contratto al capo progettista reo confesso. Il primo capitolo è in Australia. Ma c’è un prologo di corrispondenza elettronica.

Nigel Stepney, ex capo meccanico della Ferrari, suggerisce a Mike Coughlan, capo progettista e suo amico, di protestare contro il sistema di aggancio a molla del fondo piatto Ferrari. La McLaren lo fa e va a colpo sicuro. Trattasi di dettaglio al limite del regolamento: i commissari di gara omologano la vettura, la Fia a fine Gp lo bandisce per sempre. Finirebbe lì, se non fosse che le spie, quando non si chiamano James Bond (e pure lui a volte si mette nei pasticci) commettono errori marchiani : la Ferrari sente puzza di bruciato, perché un dettaglio tanto nascosto non lo poteva vedere nessuno. Ad alimentare i dubbi, un mellifluo Dennis avvicina Todt e gli propone un patto di non belligeranza: «Smettiamola di farci la guerra denunciandoci a vicenda». L’ad della Ferrari rifiuta. Spiega che troppe volte la McLaren ha disatteso impegni del genere. E’ fine marzo: la spy story è cominciata. La McLaren comincia a conoscere i segreti del principale avversario tramite una talpa a Maranello. E a sfruttarli.

Secondo capitolo. A fine aprile-inizio maggio il circuito di Barcellona ospita una tre giorni di test. Stepney incontra Coughlan a pranzo e gli consegna un faldone di 780 pagine che contiene il sapere della Ferrari. Todt usa la metafora del poker: «E’ come se l’avversario conoscesse le nostre carte». Del dossier sono al corrente i vertici della scuderia anglotedesca: il direttore degli ingegneri Lowe, l’amministratore delegato Whitmarsh, il chief designer Taylor. Stepney continua a inviare mail. Sui computer di Woking viene installato un firewall che blocca il carteggio, ma ormai dalla Ferrari è arrivato ogni ben di dio. Dennis non denuncia, non restituisce il materiale e il 9 giugno convince Todt a firmare il trattato di non belligeranza. In pista la McLaren di colpo diventa più forte della Ferrari.

Terzo capitolo, inizio luglio. Lo scandalo scuote la F1 a Silverstone, in casa della McLaren. Ron Dennis presenta il nuovo, lussuosissimo motorhome. E si mette a piangere: «Noi non siamo così. Noi siamo puliti. Noi queste cose non le facciamo». Sospende Coughlan, ma intanto gli rinnova il contratto fino al 2009. Messo di fronte all’evidenza dello spionaggio (il dossier viene trovato nella villa del capo progettista), il numero 1 della McLaren giura che nessuno nella squadra era al corrente della vicenda.

Durante l’udienza del Consiglio mondiale emerge un’altra verità: i vertici sapevano (manca solo la prova che abbiano utilizzato i dati della Ferrari, cavillo che giustifica la non punibilità). Dennis ascolta nervoso l’arringa dei suoi legali, che salva (per ora) la scuderia, ma lo inchioda alle sue bugie. Alla fine svicola via scuro in volto malgrado lo scampato pericolo. Si lascia scappare un «non siamo completamente soddisfatti». Si aspettava che condannassero la Ferrari per calunnia? A Maranello hanno deciso di fargliela pagare. Giovedì scade il termine per presentare appello alla Fia, mentre la causa civile a Londra e quella penale in Italia potrebbero ora coinvolgere lo stesso Dennis.

 

(La Stampa.it)