La Pimpaccia
di Piazza Navona

Claudio Bosio ci racconta la storia
di Donna
Olimpia Pamphilj,
una delle protagoniste
della Roma del XVII secolo.

 

terza parte.

 

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12 ottobre 2011. - Innocenzo X non era un uomo avido. Era semplicemente un vecchio debole e pieno d'acciacchi, che si dimostrò succubo degli intrighi e della sfrenata ambizione della cognata. Olimpia aveva puntato tutte le sue carte sul Prelato fratello del marito; Sapeva, come si dice, ben salvare le apparenze: per esempio, spalancò personalmente le porte di palazzo Pamphilj al popolino perché saccheggiasse, secondo l'uso, la casa del Cardinale elevato al Soglio. Prima, però, fece portare le suppellettili più pregiate a casa sua.

Olimpia poteva accedere agli appartamenti pontifici a qualsiasi ora del giorno o della notte: era chiamata «il Cardinal Padrone», perché concedeva e revocava privilegi, distribuiva cariche e prebende, fissava le udienze del Pontefice, prendeva decisioni in suo nome. Tutto in Curia dipendeva dai suoi umori, malumori, capricci. Gli ambasciatori le rendevano omaggio, i Cardinali riempivano di suoi ritratti le loro stanze, le Corti straniere la colmavano di doni per procacciarsene la benevolenza.

Rimasta vedova —nel 1639, a 47 anni— di Pamphilio (che naturalmente la vox populi voleva morto di veleno), ricevette dal cognato Papa il titolo di principessa di San Martino al Cimino nel 1645 e feudataria di Montecalvello, Grotte Santo Stefano e Vallebona. Olimpia, detta ormai «la papessa», arrivò a far ordinare cardinale il figlio Camillo, un bellimbusto ignorante e sventato, ma il giovane rinunziò al galero per poter sposare una delle più ricche e avvenenti ereditiere romane, Olimpia Aldobrandini.

La Pimpaccia non si perse d’animo e fece allora nominare cardinale un suo nipote diciassettenne, Francesco Maidalchini, che ancora non aveva ricevuto gli ordini sacri. Fu proprio costui ad avere l'incarico di delegato all'apertura della Porta Santa nella Basilica di Santa Maria Maggiore e a rendersi protagonista del primo fatto increscioso di quell'Anno Santo. Appena aperta la Porta Santa, infatti, cercò di impadronirsi della cassetta contenente le medaglie e le monete d'oro e d'argento del Giubileo precedente, che come voleva la tradizione, era stata racchiusa nel muro. Per questo venne violentemente a lite con i canonici della Basilica, che ne rivendicavano la proprietà.

La questione venne risolta, mettendo a tacere lo scandalo, con l’inviare in omaggio a Donna Olimpia l'analoga cassetta che era stata murata a San Giovanni.

Quanto alle altre varie appropriazioni di Donna Olimpia, un successo particolarmente … fecondo, ebbe con le predicazioni che faceva tenere nel suo palazzo a piazza Navona e che divennero un'occasione mondana assai ricercata da tutti i nobili della città. Riferisce un contemporaneo: «Si va alla predica come a un passatempo da teatro; Donna Olimpia chiama a sermoneggiare l'applauditissimo gesuita padre Oliva ed invita ad ascoltarlo dame e cavalieri, che vi accorrono come a un sollazzo».

Solo in un caso l'ambizione mondana di Donna Olimpia fallì. Fu quando giunse in pellegrinaggio a Roma l'infanta Margherita di Savoia, figlia di Carlo Emanuele e di Caterina d'Austria. Essa in qualità di terziaria francescana prese alloggio nel convento di Tor de' Specchi. Donna Olimpia brigò molto per essere ricevuta in udienza. Margherita per un po' non volle vederla, adducendo come scusa la sordità che l'affliggeva, e quando finalmente il privilegio fu concesso, la trattò con semplicità e modestia appunto conventuali, del tutto diverse dallo sfarzoso cerimoniale che l'altra si aspettava e che giudicava confacente al suo rango. E, come se non bastasse, Margherita si dimostrò così insofferente dei vanagloriosi discorsi che la Pamphilj le teneva da levarsi ostentatamente il cornetto acustico.

Comunque, del Papato di Innocenzo x non c'è molto da rilevare se non che i beni della Chiesa furono depredati a più riprese e in vari modi da Olimpia. Era di dominio pubblico che fosse lei a fare il buono o il cattivo tempo in Vaticano, tanto che iniziarono a divulgarsi storielle di ogni tipo che ne ritraevano sia gli aspetti simpatici che la natura malvagia e arruffona. Il suo comportamento si prestava a giochi di parole come «Olim pia, nunc impia», ovvero «Un tempo pia, oggi empia» e aveva ispirato il dialogo, assai noto fra il popolino, fra Pasquino e Marforio, altra celebre statua parlante, nel quale il primo chiedeva come si facesse a trovare la porta di Donna Olimpia e l'altro rispondeva: «Chi porta trova la porta, chi non porta non trova la porta». L’ossessiva avidità di denaro di donna Olimpia, si manifestava anche in episodi per niente redditizi. Durante le feste, a Roma, era tradizione che le candele servite per illuminare le finestre, venissero gettate in strada, in modo che i poveri ne potessero beneficiare. Si dice che, in simili situazioni, la "Pimpaccia" facesse sistematicamente vestire da straccioni i propri domestici, per recuperare la cera delle candele e non sprecarla.

 

Marforio.
 

Il più scandalizzato di quanto avveniva in Vaticano, era Ferdinando III d'Asburgo (1608-1657) Imperatore del Sacro Romano Impero, mentre i Protestanti, da parte loro, trovavano il modo di irridere la Chiesa cattolica attraverso un'immagine di Olimpia in tenuta Papale con il Pontefice ai suoi piedi a fare la calzetta.

Nel 1648 si concluse la sanguinosa Guerra dei Trent'anni con la vittoria dei Protestanti. La pace di Westfalia sancì, tra le altre cose, la perdita di vasti territori ecclesiastici in Germania. Innocenzo X cercò di protestare ma la voce della Chiesa fu a malapena ascoltata al tavolo delle trattative. Quasi per nascondere l'impotenza del Papa a livello internazionale, Roma era tutto un fiorire di monumenti e chiese barocche. L'arte di Bernini e Borromini, però, non bastò a evitare la decadenza del Papato. Lo sguardo nervoso e infastidito di Innocenzo X, colto dal Velazquez in un famosissimo ritratto, lascia intuire la tragicità della situazione.

I nuovi fasti architettonici resero Olimpia ancora più odiosa al popolo romano. La Pimpaccia fu l'espressione del potere arrogante. Mentre la città moriva letteralmente di fame, lei viveva nello sfarzo e nell'ostentazione. Sapeva benissimo di essere disprezzata e dileggiata, ma faceva spallucce a ogni dileggio o diceria, continuando a lucrare su tutto e malgrado tutto. Essa esercitava un tale potere in Vaticano che quando il Papa, nel 1655, morì, riuscì a tenerne nascosta per due giorni la notizia per condurre a termine una sistematica razzia degli appartamenti del defunto: mobili, preziosi e opere d'arte, valute in metalli pregiati...

Il cadavere del Papa venne abbandonato in una stanza infestata dai topi in attesa d'una sepoltura di cui nessuno in Vaticano, a cominciare dalla cognata, volle sostenere le spese. Pare che, a quanti le chiedevano di partecipare alle spese del funerale del Papa, rispondesse: "Che cosa può fare una povera vedova?" Finalmente un canonico di San Pietro, che era stato un tempo al servizio del Pontefice, sborsò mezzo scudo per le esequie. Queste furono celebrate alla chetichella, senz'alcuna pompa, tra i lazzi e gli sberleffi del popolino e la gioia dei cardinali, che nella scomparsa d'Innocenzo vedevano la fine del malgoverno della cognata.

Ritiratasi da Roma dopo la morte del cognato-Papa, la curia romana tentò di rientrare almeno in parte in possesso delle ricchezze accumulate da Donna Olimpia a spese dello Stato pontificio, ma inutilmente

Due anni dopo la scomparsa del "suo" Papa, toccò a lei.

A portarsela via fu la peste.

 

(claudio bosio / puntodincontro)

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12 de octubre de 2011. - Inocencio X no era un hombre codicioso. Era sólo un viejo débil y lleno de dolores y molestias, que resultó ser víctima de la intriga y de la ambición desenfrenada de su cuñada. Olimpia había jugado todas sus cartas sobre el Prelado hermano del marido y sabía —como se dice— mantener las apariencias: por ejemplo, personalmente, abrió las puertas del palacio Pamphili al pueblo común para que saqueara, según la costumbre, la casa del cardenal elevado al trono papal. Antes, sin embargo, llevó las cosas de más valor a su casa.

Olimpia podía acceder a los apartamentos papales en cualquier momento del día o de la noche: se le llamó el "Amo Cardenal" dado que otorgaba y revocaba privilegios, distribuía cargos y prebendas, coordinaba las audiencias del Papa y tomaba decisiones en su nombre. Todo dependía de sus estados de ánimo, mal humor y caprichos. Los embajadores le rendían homenaje, los Cardenales llenaban con sus retratos sus habitaciones, las cortes extranjeras la llenaban de regalos para obtener sus favores.

Cuando enviudó en 1639, a los 47 años, (por supuesto, la vox populi afirmó que su marido había muerto envenenado), recibió de su cuñado el Papa el título de Princesa de San Martino al Cimino en 1645 y señora feudal de Montecalvello, Grotte Santo Stefano y Vallebona. Olimpia, que ya era identificada como "la papisa", quiso que Camillo su hijo, un joven ignorante e imprudente, fuese nombrado cardenal, pero éste renunció al privilegio para casarse con una de las más ricas y apuestas herederas romanas, Olimpia Aldobrandini.

Pimpaccia entonces hizo que nombraran cardenal a su sobrino de diecisiete años, Francesco Maidalchini, que aún no había recibido las órdenes sagradas. Fue él quien recibió el encargo de dirigir la apertura de la Puerta Santa en la Basílica de Santa Maria Maggiore y se convirtió en el protagonista del primer hecho lamentable de que el Año Santo. En cuanto fue abierta la Puerta Santa, de hecho, trató de apoderarse de la caja que contenía las medallas y monedas de oro del anterior Jubileo, que —según la tradición— había sido encerrada en la pared. Por esto se peleó con curas de la basílica, que reclamaban su propiedad.

El problema se resolvió, silenciando el escándalo, enviando en homenaje a Doña Olimpia el cofre que había sido amurallado en San Giovanni.

En cuanto a las otras "apropiaciones" de Doña Olimpia, un hecho particularmente ... fructífero, tuvo relación con los sermones que organizaba en su palacio de la Piazza Navona y que se convirtieron en un acontecimiento social muy buscado por todos los nobles de la ciudad. Según el relato de un contemporáneo: "La gente acude al sermón como un pasatiempo teatral, Doña Olimpia llama a que pronuncie un sermón el aclamado jesuita Padre Oliva e invita a damas y caballeros para que lo escuchen, y ellos acuden como si se tratara de una fiesta".

Sólo en una ocasión la ambición mundana de Doña Olimpia falló. Fue cuando llegó en peregrinación a Roma la Infanta Margarita de Saboya, hija de Carlos Manuel y Catalina de Austria. Ella, en calidad de terciaria franciscana, se instaló en el convento de Tor de' Specchi. Doña Olimpia hizo todo lo posible para ser recibida en audiencia. Margarita por un tiempo no quiso recibirla, utilizando como excusa la sordera de la cual sufría, y cuando finalmente se le concedió el privilegio, la trató con la sencillez y la modestia adecuadas para un convento, completamente discordantes con los ceremoniales ostentosos que la otra esperaba y que consideraba idóneas para su nivel. Y para empeorar las cosas, Margarita demostró no tolerar en absoluto sus fanfarronadas, al punto que en más de una ocasión se quitó su aparato auditivo para evitar oírla.

Del papado de Inocencio X no hay mucho que señalar con la excepción de que los bienes de la iglesia fueron saqueados en repetidas ocasiones y distintas formas por Olimpia. Era del dominio público que ella hacía realmente lo que quería en el Vaticano, a tal punto que comenzaron a circular todo tipo de historias que retrataban tanto sus aspectos simpáticos como su naturaleza malvada. Su comportamiento se prestaba a juegos de palabras tales como "Olim pia, nunc impia", o sea "hace tiempo piadosa, ahora profana", y también inspiró el diálogo, bien conocido entre el pueblo, entre Pascuino y Marforio —otra famosa estatua parlante—, en el que el primero preguntaba cómo podía encontrarse la puerta de Doña Olimpia y el otro respondía: «Chi porta trova la porta, chi non porta non trova la porta» (Él que lleva algo encuentra la puerta, él que no, no la va a encontrar).

La codicia obsesiva de Doña Olimpia, se manifestaba también en episodios para nada rentables. Durante las celebraciones, en Roma, era una tradición que las velas usadas para iluminar las ventanas, fuesen arrojadas a la calle, de modo que los pobres pudieran recogerlas. Se dice que, en esas situaciones, "Pimpaccia" sistemáticamente ordenaba que sus domésticos se disfrazaran de mendigos para recuperarlas y no desperdiciarlas.

El más escandalizado por lo que ocurría en el Vaticano, era Fernando III de Habsburgo (1608-1657), emperador del Sacro Imperio Romano, mientras que los protestantes, por su parte, encontraron la manera de burlarse de la Iglesia Católica a través de una imagen de Olimpia vestida como Papa con el verdadero Pontífice a sus pies tejiendo.

En 1648 terminó la sangrienta Guerra de los Treinta Años con la victoria de los protestantes. La paz de Westfalia decretó, entre otras cosas, la pérdida de vastos territorios de la Iglesia en Alemania. Inocencio X trató de protestar, pero la voz de la Iglesia apenas se escuchó en la mesa de negociación. Como si quisiera ocultar la impotencia del Papa en el plano internacional, en Roma se edificaban una gran cantidad de monumentos e iglesias barrocas. El arte de Bernini y Borromini, sin embargo, no fue suficiente para evitar la decadencia del papado. El aspecto nervioso y molesto de Inocencio X fue plasmado por Velázquez en un famoso retrato y sugiere el tono trágico de la situación.

El nuevo esplendor de la arquitectura provocaron que Olimpia fuese odiada aún más por el pueblo romano. Pimpaccia fue la expresión del poder arrogante. Mientras que la ciudad literalmente se estaba muriendo de hambre, ella vivía en el lujo y la ostentación. Sabía perfectamente que era despreciada y que la gente se burlaba de ella, pero se encogía de hombros ante cada rumor o broma, y continuaba acumulando riqueza a pesar de todo. Ejercía tal nivel de poder en el Vaticano que cuando el Papa, en 1655, murió, se las arregló para mantener la noticia oculta durante dos días para poder llevar a cabo un saqueo sistemático de los apartamentos del difunto: muebles, objetos preciosos y obras de arte, monedas ...

El cadáver del Papa se quedó abandonado en un cuarto infestado de ratas en espera de un entierro para el que nadie en el Vaticano, comenzando con su cuñada, quería pagar. Al parecer, a los que la invitaban a participar en los gastos de los funerales del Papa respondía: "¿Qué puede hacer una pobre viuda?" Finalmente, un canónigo de San Pedro, que había estado un tiempo al servicio del Papa, desembolsó medio escudo para las exequias. Estas fueron celebradas de prisa, sin pompa, entre las bromas y las burlas de la población y la alegría de los cardenales, que con la desaparición de Inocencio veían llegar el fin del mal gobierno de su cuñada.

Se retiró de Roma después de la muerte de su cuñado-Papa y la curia romana trató de recuperar al menos parte de las riquezas acumuladas por Doña Olimpia a expensas del Estado Pontificio, pero fue en vano.

Dos años después de la muerte de "su" Papa, le tocó a ella.

Se la llevó la peste.

 

(claudio bosio / puntodincontro)

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