28 agosto 2012 - È ispirata ai grandi kolossal cinematografici di inizio Novecento la messa in scena di Ciro in Babilonia (realizzata in collaborazione con il Caramoor International Music Festival) che ha inaugurato la XXXIII edizione del Rossini Opera Festival (10-23 agosto 2012), la rassegna lirica internazionale dedicata al compositore pesarese ed allo studio del patrimonio musicale legato al suo nome.

 

Michael Spyers, aria di Baldassare ("Qual crudel, qual trista sorte"). Ciro in Babilonia, atto secondo.
Teatro Rossini di Pesaro, 10 agosto 2012.

 

Prima opera seria del ventenne compositore, Ciro fu rappresentata per la prima volta al Teatro comunale di Ferrara nel marzo 1812. Rossini —che aveva accettato l'incarico per il nobile motivo che l'onorario era consistente— la definì uno dei miei fiaschi e preannunciò all'amatissima madre l'esito della rappresentazione disegnando un fiasco sulla busta della lettera tramite cui le inviò gran parte del denaro guadagnato. È un giudizio severo: Ciro ebbe una buona accoglienza, testimoniata da decine di riprese negli anni successivi. Lo stesso Stendhal, uno dei più accreditati biografi rossiniani (che il Maestro negò sempre di aver incontrato) la definì piena di grazia.

Il direttore statunitense Will Crutchfield —sul podio dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna— ha commentato alla stampa l'eccezionale precocità del compositore: «Nella partitura ci sono momenti di una bellezza incredibile, si tratta di un autentico capolavoro, quasi a livello di Guglielmo Tell. Non conosco altri compositori della sua età in possesso di una visione così lucida ed innovatrice. Nemmeno Mozart e Schubert lo furono. A vent'anni Rossini aveva già in testa tutto, è incredibile!».

 

Una scena di Ciro in Babilonia al Rossini Opera Festival 2012.

 

Unitamente ad un cast all'altezza dell'impervia vocalità delle principali arie (il contralto Ewa Podles nel ruolo del titolo; il soprano australiano Jessica Pratt nei panni di Amira, sua moglie, ed il tenore Michael Spyres in quelli di Baldassare, re degli Assiri in Babilonia), il pubblico in sala è stato letteralmente conquistato dalla regia e dall'allestimento scenico di David Livermore che —in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino e la Cineteca Nazionale— si è ispirato con una punta di ironia ad un kolossal in bianco e nero dei primi anni del Novecento, facendo muovere e recitare i cantanti con la gestualità tipica di quel genere.

Come dire, il cinema dentro l'opera: durante la sinfonia iniziale il palco si riempie di gente, abbigliata nello stile anni Venti, pronta ad assistere al film muto Ciro in Babilonia, con tanto di didascalie sceniche proiettate assieme a spezzoni di film muti —quali Cabiria di Giovanni Pastrone (1914) e Intolerance di David Griffith (1916)— ed elementi scenografici tridimensionali.

Alle atmosfere cinematografiche sono ispirate le scene di Nicolas Bovey ed i costumi, spettacolari ed allo stesso tempo raffinatissimi, rigorosamente in bianco e nero, realizzati da Gianluca Falaschi.

È il caso di ricordare che nell’aneddotica rossiniana uno spazio particolare è occupato dal Ciro per l’aria Chi disprezza gli infelici, composta utilizzando un’unica nota (il si bemolle centrale) per il personaggio di Argene (la confidente di Amira). Le ragioni di questa bizzarria sono raccontate dallo stesso Rossini , il quale spiegò come «la prima interprete di questa parte, Anna Savinelli, ad una spaventevole bruttezza, univa una voce indecente. Dopo un accurato esame mi accorsi che il suo registro vocale possedeva almeno una nota felice, il si bemolle centrale, e allora scrissi un’aria in cui ella non doveva emettere che quella nota; tutto il resto era affidato all’orchestra. Il pezzo piacque e fu applaudito, e la mia cantante unitonica fu felicissima del suo trionfo».

 

Chi disprezza gli infelici.

 

Seconda opera in cartellone Matilde di Shabran, melodramma giocoso in due atti, rappresentato all'Adriatic Arena che ospita ogni anno uno spettacolo del Rof, trasformandosi in Teatro Olympe Pélissier (in onore della seconda moglie del Musicista).

L'opera fu composta in fretta e Rossini affidò ad un ignoto assistente la stesura dei recitativi secchi[1]. Come aveva già fatto in passato, guadagnò tempo «riscaldando gli avanzi», come era solito dire e frugando nei vecchi spartiti, inserì in Matilde alcuni brani tratti da Riccardo e Zoraide e da La donna del lago, mentre per la sinfonia utilizzò quella di Eduardo e Cristina (in precedenza aveva copiato l'ouverture de La cambiale di matrimonio nell'Adelaide di Borgogna, quella de La gazzetta ne La Cenerentola, quella di Aureliano in Palmira nell'Elisabetta regina d'Inghilterra e nel Barbiere).

Molti anni dopo, così commentò quegli furti: «Il tempo ed il denaro che mi si accordava per comporre era sì omeopatico che appena avevo io il tempo di leggere la così detta poesia da musicare. La sola sussistenza dei miei dilettissimi genitori e poveri parenti mi stava a quel tempo a cuore».

La prima rappresentazione di Matilde ebbe luogo il 24 febbraio 1821 al Teatro Apollo di Roma ed il primo violino dell'orchestra, assente per malattia, fu sostituito da Niccolò Paganini, con il quale Gioachino si abbandonò quel Carnevale alle baraonde popolari, vestito da donna e fingendosi cieco, come racconta Massimo d'Azeglio nei Miei ricordi.

Matilde rappresenta una delle riscoperte più fortunate del ROF: quella del 1996 lanciò definitivamente l’astro di Juan Diego Flórez nel mondo della lirica. È stata ripresentata nel 2004 con la regia di Mario Martone (che ha confermato quella odierna) sempre con la presenza del tenore peruviano che ha fatto del terribile Corradino uno dei suoi più fortunati cavalli di battaglia.

Quello di Matilde è uno dei ruoli nei quali Rossini inneggia al femminismo in contrapposizione a quello del misogino e rigido Corradino: l’amore trionfa dopo quasi quattro ore di musica “fresca e zampillante di idee” che Michele Mariotti (Oscar per la lirica 2012) ha diretto sapientemente ottenendo dall’Orchestra e dal Coro del Teatro Comunale di Bologna e da tutti i cantanti (tra cui Paolo Bordogna, Olga Peretyatko Nicola Alaimo, Anna Goryachova) risultati emozionanti che hanno portato al termine il pubblico, quasi in delirio, ad un interminabile applauso ritmato tributato a tutta la compagnia.

 

Una scena di Matilde.


La terza opera in cartellone è Il signor Bruschino, ossia Il figlio per azzardo. Il libretto —denominato farsa gioiosa in un atto— è di Giuseppe Maria Foppa che aveva già scritto per Rossini L'inganno felice e La scala di seta ed è tratto dalla commedia Le fils par hasard, ou Ruse et folie (1809) di Alissan de Chazet e Maurice Ourry.

Appartenente al gruppo di cinque farse che Rossini scrisse per il Teatro San Moisè di Venezia (oltre alle due sopra citate vi figurano La cambiale di matrimonio e L'occasione fa il ladro), Il signor Bruschino andò in scena per la prima volta il 27 gennaio 1813.

 

Il Signor Bruschino.

 

La regia della nuova produzione é affidata al Teatro Sotterraneo che ha ambientato la farsa in un ipotetico parco a tema, Rossiniland, dove le opere sono attrazioni ludiche e i personaggi mascotte che divertono i turisti. In questo contesto esplodono in chiave pop e contemporanea le tracce principali del libretto del Foppa: su tutte, la natura profonda della farsa giocosa in cui la menzogna e lo scambio d’identità risultano i principali strumenti di relazione fra i personaggi, attraverso un continuo equivoco fra vero e falso, verità e falsificazione. L’allestimento è il risultato di un sodalizio didattico-professionale della Compagnia con gli studenti della Scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Urbino che hanno ideato e realizzato le scene ed i costumi dello spettacolo. ROF ed Accademia collaborano da tempo: lo hanno fatto già nel 2006 per Adelaide di Borgogna e nel 2010 per Demetrio e Polibio. Daniele Rustioni (29enne) ha diretto l’Orchestra Sinfonica G.Rossini ed una compagnia di canto composta da Carlo Lepore e Roberto De Candia, oltre a giovani under 30.

Il ROF —che annovera nel programma una lunga serie di concerti, la quarta sessione dell'esecuzione integrale dei Pechées de Vieillesse, la tradizionale rappresentazione del Viaggio a Reims a cura degli allievi dell'Accademia Rossiniana, oltre che mostre e conferenze varie— si è concluso con la rappresentazione del Tancredi in forma di concerto, diretta da Alberto Zedda, direttore artistico del Festival (la sovrintendenza é da sempre affidata a Gianfranco Mariotti che ne è l'ideatore).

Eccellente il cast che annovera tra gli altri, Daniela Barcellona nei panni del titolo, specialista di ruoli lirici en travesti. La videoproiezione in diretta in Piazza del Popolo, nel cuore cittadino, ha permesso a chiunque di assistervi gratuitamente. Il libretto di Gaetano Rossi —tratto dalla tragedia omonima di Voltaire— narra dell'assedio di Siracusa da parte degli Arabi intorno all'anno 1000 e delle fortunose avventure guerresche e amorose del bel protagonista, la cui aria di entrata, Di tanti palpiti, divenne popolare con il nome di aria dei risi.
 

Daniela Barcellona. Di tanti palpiti.


Forse non tutti sanno che, per i capricci della prima protagonista, Adelaide Malanotte, Gioachino fu costretto a riscrivere in meno di quattro minuti (tanto era il tempo necessario per cuocere un risotto al dente, piatto obbligatorio all'epoca per aprire il pasto) la sua aria di entrata pochi giorni prima della recita.

La diffusione di Tancredi si deve anche alla straordinaria interpretazione che ne diede la grande cantante Giuditta Pasta. C’è un altro curioso episodio da riferire, per dare la misura di quanto un compositore potesse essere condizionato dalle esigenze degli interpreti: Giuditta Pasta, insoddisfatta del finale di Tancredi, chiese a Rossini una nuova aria. Il Compositore non gliela scrisse, cosicché la Pasta interpolò nel finale un’aria di Giuseppe Nicolini (Voi cimentarla osaste, da Il conte di Lenosse); non paga, la divina Pasta arrivò a chiedere a Rossini di fornire varianti per quest’aria, sebbene non fosse sua. Ed egli, incredibilmente, acconsentì.

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[1] La parte declamata di una composizione vocale, basata sull'accentuazione delle parole e accompagnata solo da accordi del clavicembalo, presente specialmente nell'opera buffa.

 

(paola cecchini / puntodincontro)

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28 de agosto de 2012 - Se inspira en las grandes películas épicas de principios del siglo XX la puesta en escena de Ciro en Babilonia (en colaboración con Caramoor International Music Festival), que abrió la edición edición número 33 del Rossini Opera Festival (10-23 agosto de 2012), el festival de ópera internacional dedicado al compositor de Pesaro y al estudio del patrimonio musical conectado con su nombre.

 

Michael Spyers, aria de Baltazar ("Qual crudel, qual trista sorte"). Ciro en Babilonia, acto segundo.
Teatro Rossini de Pesaro, 10 de agosto de 2012.

 

Ciro fue la primera opera seria del compositor de veinte años de edad y fue representada por primera vez en el Teatro Municipal de Ferrara en marzo de 1812. Rossini —que había aceptado el encargo por la noble causa de que los honorarios que le pagarían eran atractivos— la definió como "uno de mis fracasos" y predijo a su amada madre el resultado de la representación dibujando un fiasco en el sobre de la carta con la que le envió la mayor parte del dinero ganado. Se trata de un juicio severo: Ciro tuvo una buena recepción, como demostraron decenas de réplicas a lo largo de los años siguientes. El propio Stendhal, uno de los más respetados biógrafos de Rossini (aunque el Maestro siempre negó haberlo conocido) la describió como "llena de gracia".

El director estadounidense Will Crutchfield —al frente de la Orquesta del Teatro Comunale de Bolonia— comentó a la prensa acerca de la precocidad excepcional del compositor: «En la partitura hay momentos de increíble belleza, es una obra maestra, casi al nivel de Guillermo Tell. No sé de otros compositores de su época que poseyeran una visión tan brillante e innovadora. Ni siquiera Mozart y Schubert la tenían. A los veinte años, Rossini ya tenía todo en la mente, ¡Es increíble!».

 

Una escena de Ciro en Babilonia en el Rossini Opera Festival 2012.

 

Junto con un reparto a la altura de la difícil ejecución vocal de las principales arias (el contralto Ewa Podles en el papel protagonista, la soprano australiana Jessica Pratt en el papel de Amira, su esposa, y el tenor Michael Spyres como Baltazar, rey de los Asirios en Babilonia), la audiencia fue literalmente conquistada por la dirección de la obra y la escenografía de David Livermore quien —en colaboración con el Museo Nacional del Cine de Turín y la Cineteca Nacional— se inspiró con un toque de ironía en las superproducciones en blanco y negro de los primeros años del siglo XX, haciendo que los cantantes se moviesen y actuaran utilizando los gestos típicos de ese género.

En otras palabras, el cine adentro de la opera: durante la sinfonía inicial el escenario se llena de personas, vestidas al estilo de los años veinte, que acuden a ver la película muda Ciro en Babilonia, con todo y subtitulos proyectados junto con clips del cine mudo —como Cabiria de Giovanni Pastrone (1914) e Intolerance de David Griffith (1916)— y accesorios escenográficos tridimensionales.

Las escenas de Nicolás Bovey y los vestuarios de Gianluca Falaschi —espectaculares y refinados, estrictamente en blanco y negro— recuerdan claramente la atmosfera de esa epoca del cine.

Hay que recordar que entre las anécdotas acerca de Rossini, Ciro ocupa un lugar especial por la aria "Chi disprezza gli infelici", que fue compuesto haciendo uso de una sola nota (el si bemol central) para el personaje de Argene (la confidente de Amira). Las razones de esta extravagancia fueron explicadas por el propio Rossini, quien explicó que «la primera intérprete de esta parte, Anna Savinelli, además de ser particularmente fea, poseía una voz terrible. Después de una cuidadoso análisis, me di cuenta de que su registro vocal al menos tenía una nota feliz, el si bemol central, y entonces escribí una aria en la que ella no tenía que reproducir más que esa nota, todo lo demás lo hacía la orquesta. La pieza gustó y fue aplaudida, y mi unitónica cantante se mostró encantada por su triunfo».

 

Chi disprezza gli infelici (Quien desprecia a los infelices)

 

La segunda opera del programa, Matilde de Shabran, es un alegre melodrama en dos actos, representado en la Adriatic Arena, que recibe cada año un espectáculo del Rossini Opera Festival, convirtiéndose en el Teatro Olympe Pélissier (en honor a la segunda esposa del músico).

La obra fue compuesta de prisa y Rossini encargó a un asistente desconocido la redacción de los recitativos secos[1]. Como había hecho anteriormente, ahorró tiempo «recalentando las sobras» —como solía decir— y hurgando entre viejas partituras, insertado fragmentos de Ricardo y Zoraida y de La Dama del Lago, mientras que —para la sinfonía— utilizó la de Eduardo y Cristina (previamente había copiado la obertura de El Contrato de Matrimonio en Adelaide de Borgoña, la de la Gaceta en La Cenicienta, la de Aureliano en Palmira en Isabel Reina de Inglaterra y en el Barbero de Sevilla).

Muchos años más tarde, comentó así acerca de esos "robos": «El tiempo y el dinero que se me concedía para componer eran tan homeopáticos que apenas alcanzaba a leer la poesía que tenía que ser musicada. La mera existencia de mis queridísimos padres y familiares era sumamente importante para mi en aquella época».

El estreno de Matilda se llevó a cabo el 24 de febrero de 1821 en el Teatro Apolo de Roma y el primer violín de la orquesta, que se encontraba enfermo, fue sustituido por Niccolò Paganini, con el cual Gioachino se fue de parranda durante las fiestas de Carnaval de ese año, vestido de mujer y fingiendo ser ciego, según el relato de Massimo d'Azeglio en "Mis Recuerdos".

Matilda es uno de los más exitosos redescubrimientos del ROF: la representación de 1996 lanzó definitivamente al estrellado del mundo de la ópera a Juan Diego Flórez. Fue reintroducida en 2004 bajo la dirección de Mario Martone (quien la volvió a dirigir este año) siempre con la presencia del tenor peruano, quien hizo del terrible Corradino su más exitoso caballo de batalla.

Con el papel de Matilda, Rossini exalta el feminismo, contraponiéndose al carácter rígido y misógino de Corradino: triunfa el amor después de casi cuatro horas de música "fresca y burbujeante de ideas" que Michele Mariotti (que ganó el premio Oscar de la ópera en 2012) dirigió sabiamente, consiguiendo de la Orquesta, del Coro del Teatro Comunale de Bolonia y de todos los cantantes (incluyendo Paolo Bordogna, Olga Peretyatko Nicola Alaimo y Anna Goryachova) resultados emocionantes que llevaron al público, casi en delirio, a un larguísimo aplauso rítmico otorgado a toda la compañía.

 

Una escena de Matilde.

 

La tercera ópera del programa fue El Señor Bruschino o El hijo por azar. El libreto —clasificado como farsa alegre en un solo acto— es de Giuseppe Maria Foppa que había escrito previamente para Rossini El Engaño Feliz y La Escala de Seda y se inspira en la comedia Le fils par hasard, ou Ruse et folie (1809), de Alissan de Chazet e Maurice Ourry.

Perteneciente al grupo de cinco farsas que Rossini escribió para el Teatro San Moisè de Venecia (junto con —además de las dos mencionadas anteriormente— El Contrato de Matrimonio y La Ocasión hace al Ladrón), el Señor Bruschino fue puesta en escena por primera vez 27 de enero de 1813.

 

El escenario de "El señor Bruschino".


La dirección de la nueva producción está a cargo del Teatro Sotterraneo que ambientó la farsa en un parque temático hipotético, Rossiniland, donde las obras son divertidas atracciones y los personajes son mascotas que entretienen a los turistas. En este contexto se explotan en clave pop y contemporánea los lineamientos principales del libreto de Foppa: por encima de todo, la naturaleza profunda de la farsa lúdica en la que la mentira y la confusión de identidad son los principales instrumentos de las relaciones entre los personajes, a través de un malentendido continuo entre lo verdadero y lo falso, la realidad y lo imaginario.

La exposición es el resultado de una colaboración educativa y profesional con los estudiantes de la Escuela de Escenografía de la Academia de Bellas Artes de Urbino que concibieron y diseñaron las escenas y el vestuario de la representación. El ROF y la Academia trabajan juntos desde hace tiempo: ya lo habían hecho en el 2006 para Adelaida de Borgoña y en el 2010 para Demetrio y Polibio. Daniele Rustioni (29 años) dirigió la Orquesta Sinfónica G. Rossini y una compañía de cantantes compuesta por Carlo Lepore, Roberto De Candia y jóvenes menores de 30 años.

El programa del ROF —que incluye una larga serie de conciertos, la cuarta ejecución integral de Pechées de Vieillesse, la representación tradicional de El Viaje a Reims, con los alumnos de la Academia Rossiniana, así como diversas exposiciones y conferencias— concluyó con la ópera Tancredi en forma de concierto, dirigida por Alberto Zedda, director artístico del Festival (el superintendente siempre ha sido Gianfranco Mariotti, quien es el creador del evento).

Excelente el reparto que incluye, entre otros, Daniela Barcellona en el papel del título, especialista en actuaciones líricas "en travesti". La proyección en vivo en la Piazza del Popolo, en el corazón de la ciudad, hizo posible que cualquier persona pudiese asistir gratuitamente. El libreto de Gaetano Rossi—inspirado en la tragedia del mismo nombre de Voltaire— relata el asedio de Siracusa por los árabes alrededor del año 1000 y las aventuras bélicas y amorosas del protagonista, cuya melodia inicial, "Di tanti palpiti", se hizo famosa con el nombre de "Aria dei risi".


Daniela Barcellona. Di tanti palpiti.


Tal vez no todo el mundo sabe que —debido a los caprichos de la primera protagonista, Adelaide Malanotte, Gioachino se vio obligado a reescribir en menos de cuatro minutos (el tiempo necesario para cocinar un risotto al dente, platillo obligatorio en aquella época para iniciar la comida) su aria de entrada unos días antes de la actuación.

El éxito de Tancredi se debe también a la extraordinaria interpretación que ofreció la cantante Giuditta Pasta. Hay otro episodio curioso que vale la pena recordar, para dar una idea de como un compositor puede estar condicionado por las exigencias de los artistas: Giuditta Pasta, insatisfecha con el final de Tancredi, pidió a Rossini una nueva aria. El compositor no se la escribió, por lo que Pasta interpoló en el final una aria de Giuseppe Nicolini ("Voi cimentarla osaste", de El Conde de Lenosse).

Aún no complacida, Pasta llegó a pedir que Rossini compusiera variaciones sobre esta pieza, aunque no era suya. Y, por increíble que parezca, él estuvo de acuerdo.

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[1] La parte recitativa de una composición vocal, basada en el énfasis de las palabras y acompañada sólo por los acordes del clavicordio, muy utilizada en la ópera bufa.

 

(paola cecchini / puntodincontro)