Tracce di Memoria:

Massimina Pesce a Palazzo Venezia
Chiusa con successo a Roma la mostra di grandi sculture e dipinti dell’artista aquilana.
Di Goffredo Palmerini

Massimina Pesce.20 ottobre 2009. - Appena due settimane d’esposizione a Palazzo Venezia, sufficienti però a celebrarla, come davvero merita, artista raffinata e dalla cifra inconfondibile. Massimina Pesce ha infatti raccolto a Roma una messe d’apprezzamenti, dal pubblico e dalla critica, per le opere esposte dal 6 al 18 ottobre nel prestigioso complesso museale.

Eccezionale l’allestimento nella sala Altoviti, finora mai usata per esposizioni, la mostra con l’egida del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Soprintendenza Speciale per il Polo museale della Città di Roma, del Museo Nazionale di Palazzo Venezia e della Regione Abruzzo.

Marcello Verderosa, dirigente del servizio Attività di Promozione della Regione Abruzzo, ha motivato il sostegno dato all’evento “…non solo per onorare l’artista, consacrata dalla storia aquilana e per il prestigio da lei reso all’Abruzzo, ma anche perché il museo di Palazzo Venezia rappresenta un traguardo da non disattendere”. Votato alla specializzazione storica il museo di Palazzo Venezia si concede aperture al contemporaneo, infatti, solo quando riconosce valenze particolari, come nel caso di Massimina Pesce. Ne aveva illustrato l’origine Maria Selene Sconci, direttore del museo e critica d’arte, in occasione della presentazione dell’evento alla stampa. “L'idea della mostra - spiega Maria Selene Sconci - nasce da una visita dell'artista aquilana alla sala Altoviti, da cui fu sedotta. Una sfida che Massimina Pesce ha vinto perché la sala Altoviti non ha mai finora accolto esposizioni, in quanto è una sala che espone se stessa. Reca, infatti, un ciclo di affreschi, realizzati dal Vasari, come omaggio a Cerere . “Tracce di memoria” - aggiunge la Sconci - pur essendo proiettata sul futuro, sente il bisogno di raccontare il passato. Babele, espressione della ricchezza di sentimenti, posta al centro della sala Altoviti, è la personificazione di tutto lo studio fatto dall'artista. Il passaggio da Babele, fragile per le suggestioni ma forte nei suoi circa 3 metri di altezza in terracotta, alle tre forme, Presenze, di 2 metri e 40 centimetri, denota la testimonianza di una notevole evoluzione stilistica”.

Angeli.E così le attese della vigilia hanno trovato puntuale conferma nel successo raccolto dall’esposizione e dalla singolarità del prezioso contesto dov’essa è stata allestita. Al centro della sala Altoviti svetta “Babele”, scultura realizzata dall’artista nel 1988, mito di Babele nella rappresentazione dei sette piani e nel tempietto smaltato di azzurro all’apice, così come lo volle il re babilonese Nabucodonosor, frammentata e sospesa nei vari rocchi.

Esposte anche tre nuove sculture,“Presenze”, alte circa due metri e mezzo. Hanno colori chiari, in armonia con due grandi tele dipinte con schiere di angeli in volo, che scendono dalla volta affrescata.

A sinistra della sala Altoviti un menhir rosso introduce in una stanza colorata d’azzurro dove campeggia l’omaggio dell’artista all’Aquila, la sua città. Sono le “Fratture” esposte venti anni fa al Forte Spagnolo durante la Perdonanza Celestiniana. Al centro un altro menhir rosso apre una serie di “Voli” con il rosso dominante che salgono verso l’alto, quasi un segno della determinazione degli aquilani alla rinascita e la fiducia nel proprio futuro.

Molto originale il catalogo, curato da Giuseppe Cimmino e Paolo De Felice, corredato da un video di Diodato Salvatore che riprende le opere dell’artista nella bella villa di Collettara di Scoppito, a due passi dal capoluogo. I saggi critici in catalogo, si diceva, sono di Claudio Massimo Strinati, della Soprintendenza Speciale di Roma, e di Maria Selene Sconci, direttore del museo nazionale di Palazzo Venezia, d’origine aquilana.

Dunque un altro prestigioso riconoscimento alle sue qualità d’artista ed al suo stile raccoglie Massimina Pesce, scultrice e pittrice di forte talento. Di grande impatto le opere esposte a Palazzo Venezia. Sculture a menhir, ceramiche e dipinti hanno creato nella sala Altoviti - dove, beninteso, non era certo agevole esporre con lo sfondo degli affreschi del Vasari - un percorso di notevole suggestione. E’ stato chiaro anche a chi scrive, che pure non s’impanca in valutazioni critiche proprie di altre competenze. Eppure, quelle sculture di refrattario monocromatico hanno evocato L’Aquila, il colore delle pietre lacerate dei monumenti squassati dal sisma.

Volo24.

Nella loro sobrietà senza fronzoli, tutta l’altera eleganza delle sculture classiche. Poi menhir e torri di Babele, refrattari policromi di rosso intenso, con il nero, i grigi e il bianco, quindi le tele sui temi del “Volo” e degli “Angeli”, eterei dipinti dalle dominanze bianche e azzurre di spiccata densità interiore, come le splendide “Fratture” che distillano preziosi lacerti di portali e rosoni, meraviglie delle architetture aquilane. E’ un’arte con una sua nobiltà, quella della Pesce, che tuttavia non pone barriere e getta ponti tra la terra e il cielo. Anzi colma ogni distanza, evocando richiami al nucleo profondo della nostra madre terra, agli abissi del mare ed all’immensità del cielo, scevri dalle paure ancestrali che di solito recano, determinando invece quello stato di serena sospensione dell’anima che accompagna le emozioni più intime e dichiara il senso stesso, etico e spirituale, d’una umanità che spesso smarrisce i suoi riferimenti essenziali. In fondo, nelle opere di Massimina Pesce, spiritualità e trascendenza si colgono a piene mani.

Ma entriamo, ora come si deve, negli stilemi artistici di Massimina Pesce. “E' una cittadina del mondo - scrive Claudio Strinati in una nota critica in catalogo - in quanto artista e intellettuale e non rivendica alcune peculiarità abruzzesi. I suoi Menhir sono emblemi universali che non hanno patria. La sua tecnica non è il frutto di una sopravvivenza di artigianato antico rimasto depositato nella città vecchia e rinato in un’ottica moderna. Il suo stesso concetto di modernità è maturato attraverso una parabola lenta e continua che ha attraversato i quattro fatali decenni della seconda metà del Novecento caricandosi sempre più di significato e capacità di elaborazione fino a raggiungere un sottile e audace crinale tra pittura e scultura che è tutto suo e non ha alcuna matrice etnica o localistica. Eppure la nobiltà di pensiero di questa artista riflette veramente quelle istanze di eticità, di autocontrollo, di dominio sulle afflizioni del tempo e della sorte che si sono ultimamente manifestate davanti al mondo intero dopo i disastri del terremoto. Massimina Pesce ha in sé una sorta di duplicità di linguaggio che ha generato una dialettica interna in cui lo stile crea una superiore conciliazione. Sente fortemente la dimensione del movimento aereo e leggero che si espande nel tema prediletto del volo e degli angeli e vive con altrettanta perentorietà l’esigenza della pietrificazione e blocco dell’immagine”.

Babele.Nel suo saggio critico Maria Selene Sconci, direttore del museo di Palazzo Venezia, tra l’altro annota: “… La Sala Altoviti, con la volta affrescata da Giorgio Vasari che racconta le storie di Cerere, la dea della terra, del lavoro della vita: è di questo ciclo pittorico che illustra i temi universali dell’esistenza che si è invaghita Massimina Pesce. Se ne è innamorata al punto che da un anno a questa parte ha iniziato a lavorare con dedizione per questo specialissimo spazio espositivo, giustamente e consapevolmente vissuto come luogo privilegiato assoluto, come opportunità creativa, come atto artistico esso stesso.

Ne ha colto la potenza dei significati simbolici connessi alla sua mitologia ed alla sua affascinante storia figurativa. Lo sguardo attento dell’artista ha saputo spaziare tra le immagini affrescate, ha frugato negli innumerevoli dettagli decorativi della volta, ne ha assorbito la densità dei colori: ne è scaturita la volontà creativa che è alla base delle Tracce della Memoria, la più recente performance artistica di Massimina Pesce.

La forza evocatrice di questa mostra ha radici profonde: connesse al percorso creativo dell’artista ormai matura, alla sua lunga storia professionale ed umana, alla conquistata maturità di donna e di madre, all’equilibrio esistenziale raggiunto.(…) Nata negli anni Ottanta - scrive ancora Maria Selene Sconci, curatrice della mostra - dalla ricerca sulla strutturazione della materia e scaturita da una riflessione sulla frammentazione e moltiplicazione dei piani prospettici, la ricerca ha portato l'artista a realizzare suggestivi frammenti architettonici intitolati Fratture che, in tempi non sospetti, rappresentavano un originale omaggio alla città dell'Aquila. Oggi il valore intrinseco di tali opere è aumentato considerevolmente, e mettere in mostra i rilievi che citano i magnifici rosoni delle maggiori chiese aquilane assume un toccante significato evocativo che emoziona gli animi oltre che il senso estetico di chi le osserva. Le eleganti ogive delle bifore di Casa di Jacopo Notar Nanni e di Palazzo Alfieri, le impalpabili trine dei rosoni marmorei di Santa Maria di Collemaggio, di San Silvestro, di San Pietro in Coppito, autentici simboli della città dell'Aquila, vengono rivisitati e reinseriti nel contesto linguistico dell'artista fino a diventare un personale, potente e originale metalinguaggio che oggi assume le caratteristiche universali e dirompenti di un pensiero doloroso urlato al mondo intero”.

Davvero un orgoglio per L’Aquila e per l’Abruzzo gli apprezzamenti per l’esposizione di Massimina Pesce a Palazzo Venezia: un vero successo. Magnifica la sala Altoviti che l’ha ospitata. Gli affreschi del Vasari, che ora ornano la volta della sala, furono staccati nel 1888, quando i lavori d’arginatura del Tevere avevano imposto l’abbattimento di Palazzo Altoviti, dimora d’una grande famiglia di banchieri fiorentini. Le pitture murarie furono ricomposte all’interno di Palazzo Venezia nel 1929 a cura di Federico Hermanin, primo direttore del museo. Eseguiti nel 1553 da Giorgio Vasari (Arezzo 1511 – Firenze 1574), gli affreschi svolgono una serie di temi di carattere agreste e celebrano con lunette, clipei e pannelli, i costumi e i riti del mondo pastorale attraverso il succedersi delle stagioni. La volta misura oltre cento metri quadrati d’affresco, con Cerere al centro e con la rappresentazione dei mesi in dodici riquadri disposti intorno all’immagine centrale. La sala Altoviti è una delle preziosità di Palazzo Venezia, tra i più carichi di storia di tutta Roma. Situato a Piazza Venezia, nel cuore della capitale, nel medioevo era solo un palazzetto accanto all’antica basilica di San Marco, in origine adibito ad abitazione di cardinali. Tra il 1455 e il 1467 venne riedificato e ampliato dal cardinale Pietro Barbo che, una volta eletto Papa con il nome di Paolo II, lo trasformò in residenza pontificia. Il lavoro di alcuni importanti architetti rese imponente Palazzo Venezia, struttura tra le più belle della Roma del Rinascimento. Fu il primo palazzo sul quale venne utilizzata la tecnica del calcestruzzo dai tempi degli antichi romani e si può aver prova tuttora del primo restauro papale guardando le finestre a croce della facciata che svelano lo stemma del pontefice Paolo II. All’esterno sono d’immediato richiamo le merlature sulla cima e la torre della Biscia. La presenza della retrostante basilica, invece, impediva la costruzione d’un cortile al centro dell’edificio. Venne quindi creato il Viridario, accessibile solo dalla torre e sul quale all’interno s’affacciano le finestre del portico quadrilatero. Completamente demolito durante la sistemazione di Piazza Venezia, tra il 1909 e il 1913, il palazzo venne ricostruito in tutta la sua interezza nella posizione che oggi occupa. Venne quindi ristrutturato il balcone e le sale che ne rendono splendido l’interno. Tra le più importanti la Sala del Mappamondo e la Sala regia recante una celebre statua di Iside.

Ora, qualche annotazione sull’artista. Nata a Prezza (L’Aquila), Massimina Pesce si è formata presso l’Istituto Statale d’Arte di Roma. Allieva di Colla e Leoncillo, apprende le molteplici declinazioni nell’uso della ceramica. Dotata di notevole talento e di forte temperamento, l’artista presto elabora un linguaggio tutto personale che, attraverso un informale assai incline verso l’astrattismo, approda, sopra tutto nell’uso del colore e nella forgiatura della materia, a felicissimi esiti di pittoscultura nelle sue originali ed espressive sculture in refrattario. Risalgono agli anni Sessanta le prime mostre personali e di gruppo. Dagli anni Settanta avvia una profonda ricerca sulla strutturazione della materia, con esiti espressivi scaturiti dalla moltiplicazione dei piani prospettici; importante l’esposizione presso la galleria Consorti di Roma e la partecipazione al Premio Michetti. Negli anni Ottanta la frantumazione del linguaggio è percorsa nei frammenti architettonici delle “Fratture”, a cominciare dall’omaggio medioevale dedicato alla città dell’Aquila ed ospitato nell’ambito della Perdonanza al Museo Nazionale d’Abruzzo. Inizia quindi con l’imponente installazione di Babele, proposta all’Expo di Bari nel 1989 e in successive mostre tenute in Italia, Francia e Germania, la fase di una serrata indagine sulla lingua “ceramica”, indirizzata all’assimilazione di tracce archetipe nel segno grafico plasticamente recuperato in tutte le sue valenze semantiche, scultoree e pittoriche.

Nelle successive sculture di grandi dimensioni e nei bassorilievi delle “Tensioni”, presentate in Italia in diverse grandi rassegne e concorsi d’arte, ma anche all’estero a Perpignan, Koblenz e Carcassonne, l’artista marca sempre più le linee forza d’un colore araldico sorretto dal vigore di masse plastiche protese nel loro dinamismo. Il recente ciclo di opere “Pietrificati Voli” di pittura e scultura in ceramica, ferro, pietra e bronzo, presentato in anteprima con i bassorilievi policromi al XXVI Premio Vasto, è stato ampliato nei Menhir e nei Voli nelle mostre tenute a Copenaghen, Roma, Vienna, Anagni, Bratislava, Taiwan, New York, Madrid, Sulmona, L’Aquila, Teramo, Gent, Milano, Bruxelles, Budapest, Prezza, Boston, San Vito Chietino, Craiova, Calafat e Mosca. Numerose le partecipazioni dell’artista a fiere internazionali d’arte, molti i riconoscimenti e premi conquistati. Le opere di Massimina Pesce sono esposte in diversi musei e fanno parte di collezioni private in tutto il mondo. Sculture e dipinti sono acquisiti da pinacoteche pubbliche e amministrazioni dello Stato a corredo di luoghi e ambienti d’elezione.

Fino al 6 aprile scorso Massimina Pesce ha lavorato nel suo splendido studio in via Santa Giusta, nel centro storico dell’Aquila, ora gravemente danneggiato dal terremoto che ha infierito senza pietà su tutte le architetture urbane. Necessariamente ha dovuto far ricorso agli ampi spazi della dimora di Collettara, da dove si coglie all’orizzonte il profilo della città ferita. La villa è in posizione elevata, è un balcone sulla conca aquilana che si spiana davanti. Sta nei pressi dell’antico sito del villaggio sabino di Foruli, dove si congiungevano le principali vie di comunicazione - Claudia Nova, Salaria e Cecilia - tra le regioni etrusche, umbre e picene con il Sannio, attraverso le terre dei Sabini, dei Vestini e dei Peligni. L’abitato di Foruli, residenza d’importanti personaggi pubblici della città di Amiternum, sopravvisse fino al IV secolo d.C. e seguì le sorti della vicina città sabina che dette i natali a Caio Crispo Sallustio, il più grande storico dell’antica Roma. Il lungo periodo di vita del villaggio è articolato in diverse fasi di costruzione delle strutture ed è scandito dalle numerose testi¬monianze epigrafiche che, oltre a fissare Foruli nella definizione di vicus fino all'epoca imperiale, illustrano la presenza di magistrati e patroni di rango ele¬vato che lo resero estremamente vitale fino al V sec. Il sito, nel secolo scorso, è stato oggetto di varie campagne di scavi che hanno portato alla luce una palestra con mosaici e decorazioni pittoriche di notevole interesse, ma sopra tutto importanti reperti di corredo e statue di raffinate fattezze scultoree che rappresentavano personalità, magistrati e patroni. Sembrerà strano questo richiamo alla romanità dell’area ed alle preziosità dei reperti rinvenuti. Ma non è casuale. Mentre ammiravo le sculture di refrattario monocolore della serie “Presenze” esposte a Palazzo Venezia, per associazione ed affinità stilistiche avevo ripensato alle splendide sculture classiche rinvenute a Foruli, immaginando per l’artista un’ispirazione del genius loci. Massimina Pesce conferma d’essere davvero un’artista di valore. Una sensibilità straordinaria ed una umanità senza confini accompagnano la sua grazia, grande quanto la sua signorilità.

 

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