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20 luglio 2013 - Il primo ciak è stato il più difficile. Quando gli attori si sono riuniti in cerchio per un rituale propiziatorio, il regista li ha guardati con stupore. Ma ingraziarsi la madre terra era fondamentale per cominciare le riprese. La telenovela “Baktun”, la prima girata interamente in lingua maya, è nata così. Ha debuttato lunedì scorso in Messico e rappresenta una rivoluzione per il prodotto di intrattenimento per antonomasia dell’America Latina.

Nel cast non c’è nessun attore professionista: i protagonisti sono indigeni del Quintana Roo, stato nella penisola dello Yucatan, reclutati dalla produzione a bassissimo budget (181 mila euro per cinque settimane di riprese). Tra loro c’è anche Hilario Chi Canul, collaboratore di Mel Gibson per i dialoghi di Apocalypto.

Oltre all’utilizzo della lingua nativa —novità assoluta— “Baktun” scardina i dettami del genere: i baci e le scene di sesso sono state cancellate dalla sceneggiatura. Una vera e propria anti-soap opera. «Le manifestazioni di passione in pubblico e prima del matrimonio non sono accettate nella cultura maya», spiega il regista Bruno Cárcamo Arvide. Neanche l’ombra di intricati incroci sentimentali, relazioni strappalacrime e meschini tradimenti, così cari alle telenovelas venezuelane e colombiane.

“Baktun” —il ciclo del calendario maya— racconta la storia di Jacinto, un giovane che lascia il villaggio nella foresta yucateca ed emigra a New York, dove si adatta allo stile di vita yankee. Fino a quando è costretto a tornare per stare vicino al padre in fin di vita. Ma non arriverà in tempo e sarà accusato di aver tradito il suo popolo e la sua cultura. Inizia così un percorso di riscoperta e riconquista delle sue radici: prende di nuovo confidenza con la lingua materna per essere accettato dalla comunità e conquistare il cuore dell’amata.

Una scena della telenovela con sottotitoli in spagnolo.

Gli spettatori impareranno a conoscere le storie di Jacinto Juul Kin “raggio di sole”, Maria Saasil Uj “luna chiara”, Chilam Balam “giaguaro sdraiato” che nei 30 episodi sveleranno la complessità del mondo maya. Il lavoro di Bruno Cárcamo, a cui si sono già interessate emittenti peruviane e boliviane, è un recupero e salvaguardia della cultura tradizionale, in particolare della lingua. Uno scrigno da custodire per le generazioni future. «La lingua maya va a dormire alle sei del pomeriggio, quando si accende la televisione e la gente inizia a guardare le telenovela in spagnolo», racconta. Di qui la volontà di valorizzare il dialetto maya yucateco —parlato da quasi 800 mila persone in Messico— che rischia di scomparire, nonostante i programmi statali di salvaguardia.

E chissà che alcune frasi non diventino di moda, come nel Cile di fine anni ’90. Allora la telenovela “Iorana”, ambientata nell’Isola di Pasqua, conquistò intere generazioni: alcune espressioni in Rapa Nui diventarono veri e propri tormentoni di uso quotidiano.

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(filippo femia / lastampa.it / puntodincontro.mx / adattamento di massimo barzizza)