Il Carpaccio,

Cipriani e la contessa
Di Claudio Bosio.

 

15 luglio 2009. - La rivoluzione è fredda. Almeno per la carne. Con l’arrivo dell’estate, in cucina si verifica una sommossa anarcoide: basta con sughi densi (e pesanti), cotture estenuanti, stufati e stracotti: «cucina sì, fucina no». È in atto la rivincita del crudo sul cotto, delle salsine sui tradizionali sughi all’amatriciana e alla carbonara.

Al bando la pasta! Evviva la verdura! Ma, basta broccoli e verze medicamentosi, carciofi spinosi, patate, fagioli e consimili ortaggi "invernali": c’è voglia di fresco, di insalate multicolori e … multietniche. È in atto la vendetta (che, come dice il proverbio, và consumata fredda) della carne cruda su quella cotta. Evviva i Tartari, gli audaci cavalieri nomadi, che ce ne hanno tramandato l’uso! (Meglio non far mente locale a quanto ci dice la tradizione in proposito.

Ammiano Marcellino (IV sec. a.C.) ci tramanda, infatti, che la carne di cui si cibavano i Tartari e gli Unni, era il risultato dell’abbattimento di animali feriti o malati e del trasporto delle loro carni fra la sella ed il dorso del cavallo. A sera queste carni risultavano maciullate a tal punto da poter essere consumate così, crude).

Nei menus estivi di quasi tutti i ristoranti, "qualcosa di Tartaro" viene sempre messo in bella vista. C’è, di sicuro, la «bistecca alla tartara» (anche se non sempre fatta con carne macinata di cavallo) e la «salsa tartara», in cui l’uovo si sposa con la senape, inasprita solo con qualche goccia di aceto e cetriolini triturati. Sono, tutte, preparazioni semplici che richiamano, nel loro approntamento, i caratteri e i ritmi del mondo d’oggi: velocità, leggerezza, praticità.

A legare le varie tradizioni sull’uso della carne cruda, è intervenuto, si fa per dire, nientemeno che un celebre pittore del rinascimento: Vittore Carpaccio. È risaputo che Carpaccio (1465-1526), nativo di Venezia, sviluppò uno stile molto personale, rimanendo lontano dalle correnti più moderne che vi erano in quel periodo; sviluppò una pittura fortemente narrativa come si evince dalla numerosa serie dei suoi "teleri"( ), di grande luminosità e prospettiva, che ritraggono una Venezia irreale ma verosimile.

Ma cosa c’entra questo insigne pittore con la carne cruda?

Per rispondere a modo dobbiamo prima anticipare alcune note. La "storia" di questo piatto, ebbe origine all’Harry’s Bar, uno dei ritrovi più rinomati in tutto il mondo. La leggenda dell’Harry’s Bar comincia nel 1929 quando Giuseppe Cipriani, allora barman dell’hotel Europa, aiuta il giovane e ricco americano Harry Pickering, rimasto senza soldi, a pagare i suoi debiti e a ritornare in patria.

Due anni dopo Pickering restituisce il suo debito, aiuta Cipriani ad aprire un locale cui da il proprio nome; Giuseppe aveva, a questo scopo, acquistato e trasformato in vecchio negozio di corde. Sin dall’inizio, il ritrovo divenne il bar che tutta l’High Society dell’epoca prediligeva, non solo per i magnifici cocktails e appetitosi sandwiches che Giuseppe inventava, ma soprattutto per l’atmosfera che vi si respirava. Hemingway, è risaputo, adorava l’Harry’s bar e ogni volta che soggiornava a Venezia aveva un tavolino tutto suo, in un angolo.

Piano-piano, con gli anni, il bar diventa anche ristorante, che propone pochi piatti della cucina tradizionale con due caratteristiche come componenti essenziali: la leggerezza e la delicatezza. Famosi fra questi i tagliolini gratinati, i risotti, gli scampi Armoricaine e Thermidor e le crêpes alla crema. Da più di 35 anni Arrigo, figlio di Giuseppe, dirige l’Harry’s Bar. Con la sua passione, la sua cortesia, il suo senso innato dell’ospitalità ed il piacere per la confortevole semplicità continua l’impronta paterna dando al locale uno stile inimitabile.

Ci sono bar che hanno inventato rinomati cocktails.

Ci sono ristoranti che hanno inventato piatti famosi.

Ci sono pochi ritrovi che abbiano fatto entrambe le cose.

L’Harry's Bar di Venezia, in Calle Vallaresso, è uno di loro. La bevanda è il Bellini, una miscela di succo di pesca bianca e prosecco spumante, dal nome del pittore veneziano Giovanni Bellini. Il piatto è il carpaccio, un semplice piatto a base di carne cruda.

Tra il 15 giugno ed il 6 ottobre 1963, il Comune di Venezia aveva organizzato una grande mostra su Vittore Carpaccio. Fra i numerosi visitatori troviamo anche la contessa Amalia Nani Mocenigo, la quale, in seguito, si reca a pranzo presso l’Harry’s Bar, accompagnata dal suo cavaliere estemporaneo, un colonnello della fanteria degli Stati Uniti. Per la contessa, che, per prescrizione medica, non poteva nutrirsi di carne cotta, Giuseppe Cipriani "inventò" un piatto consistente in fettine sottilissime di manzo crudo, prese dal controfiletto, disposte su un piccolo vassoio e decorate con la "salsa-universale", specialità della casa, composta di mayonese, worchester, latte, limone, sale e pepe bianco.

La contessa Nani Mocenigo, prima ancora di gustare questa nuova specialità di Cipriani, disse che le decorazioni multicolori della salsa cosparsa sulle fettine, le ricordavano le tonalità dei rossi e dei bianchi del Carpaccio, la mostra in onore del quale aveva appena visitato.

Da qui il nome carpaccio,che in qualche anno diventerà famoso e che sarà proposto in mille varianti, compresa quella (ahinoi!) diffusissima con le foglie di rucola!

Ma non è finita. La notorietà della preparazione diverrà con il tempo sinonimo di ogni fettina cruda sia di carne che di pesce, per giungere all’improponibile "carpaccio di frutta fresca"!

Si vuole, infine, che una signora, abitante in via Carpaccio, sia convinta ancor oggi di abitare nella via dedicata all’inventore della carne cruda (come se la carne, in origine, fosse cotta!). Quel che è certo è che, nei …. secoli a venire, di Vittore Carpaccio ci ricorderemo ogni volta che ci siederemo a tavola e ci serviranno qualcosa di crudo tagliato a fettine.