I numeri, questi sconosciuti

Di Claudio Bosio - Prima parte.

Giacomo Balla - Numeri innamorati. Olio su tela, 1924.

Quando non possiamo esprimerla con i numeri,
la nostra conoscenza è povera e insoddisfacente.
William Thomson lord Kelvin
 

11 maggio 2010. - Secondo il dizionario, il "numero" è un «ente matematico che caratterizza un insieme di cose o persone. E' espresso con segni convenzionali (cifre) ai quali è assegnato un valore di quantità, secondo un dato sistema di numerazione». Anche l'atto del "contare" ha una sua definizione distintiva. Secondo il De Mauro significa: «numerare progressivamente persone, animali o cose per determinarne la quantità». Numerare. Cioè segnare con numeri progressivi. Ma, come facciamo a contare? Per rispondere a questo semplice quesito,  dobbiamo prima mettere in evidenza un fatto di non secondaria importanza. Tutti abbiamo sperimentato che il modo più naturale di contare è quello di chiudere le mani (o anche una sola mano) a pugno e quindi sollevare un dito per volta in corrispondenza di ogni oggetto dell'insieme che si vuol contare. È indubbio, quindi, che se l'evoluzione avesse sviluppato solo quattro dita per mano, l'uomo avrebbe probabilmente elaborato un sistema di numerazione «quaternario» o «ottale», cioè a base quattro o a base otto. Questo convincimento poggia anche sul fatto che sono esistiti in passato (ed esistono anche attualmente presso alcune popolazioni) conteggi e registrazioni dei numeri basati sulle dita di una sola mano (sistema di numerazione «quinario»), o sulle venti dita complessive delle mani e dei piedi (sistema di numerazione «vigesimale»).

Invece, lo sappiamo bene, contiamo e scriviamo i numeri ([1]) per decine, proprio perché, molto probabilmente, i nostri lontani antenati si sono serviti, per far di conto, di parti del loro corpo, per esempio delle mani e delle relative dita (numerazione «decimale»). Il nostro sistema di numerazione, a base 10, è di origine … extra-comunitaria. È nato in India, tra il 400 a.C. ed il 400 d.C. Fu importato da Leonardo Fibonacci (1170-1250), circa 800 anni fa. Il padre, Guglielmo dei Bonacci (Fibonacci sta infatti per filius Bonacci), facoltoso mercante pisano, lo volle con sé in Algeria, dove operava in qualità di  rappresentante dei mercanti della Repubblica di Pisa, nella regione di Bugia. Il giovane Leonardo qui ebbe precoci contatti con il mondo dei mercanti e apprese tecniche matematiche sconosciute in Occidente, in particolare le tecniche di calcolo che facevano uso delle cifre indo-arabiche, non ancora introdotte in Europa. In seguito Bonacci-padre, nell’ambito delle incombenze politico-commerciali della famiglia, inviò il figlio in Egitto, Siria, Grecia, Sicilia, Provenza e a Costantinopoli. Leonardo colse l’opportunità offertagli da questi viaggi all’estero, per studiare e imparare le tecniche matematiche impiegate in queste regioni. Il risultato delle conoscenze così acquisite, è condensato nel suo "Liber Abaci", scritto nel 1202, un enorme trattato di aritmetica (= dal greco: "arithmos", numero, scienza che studia le proprietà dei numeri naturali) di matematica (= dal greco: "mathema", insegnamento, scienza che comprende l'aritmetica, la geometria, la trigonometria) ed di algebra (dall'arabo: al-ğabr che significa "connessione", scienza delle equazioni che si ottengono eguagliando a zero uno o più polinomi con una o più incognite). All’epoca, in Europa la matematica era praticamente inesistente.  Con il suo libro, Fibonacci ha introdotto un rivoluzionario sistema numerico di calcolo, basato, su nove cifre da lui chiamate "indiane" e sul segno 0 (chiamato, in latino, zephirus, letteralmente "venticello", adattamento dell'arabo sifr, da cui si ebbe zevero e quindi zero).

Scrive infatti nel capitolo I :
 

 « Novem figure indorum he sunt 9 8 7 6 5 4 3 2 1 Cum his itaque novem figuris, et cum hoc signo 0, quod arabice zephirum appellatur, scribitur quilibet numerus, ut inferius demonstratur»

 « Ci sono nove figure degli indiani: 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Con queste nove figure, e con il simbolo 0, che gli arabi chiamano zephiro, qualsiasi numero può essere scritto, come dimostreremo»


Prima di Fibonacci, tutto il mondo occidentale usava i numeri romani e i calcoli si facevano con l'abaco ([2]). Il nuovo sistema stentò parecchio ad essere accettato, tanto che, nel 1280, la città di Firenze proibì l'uso delle cifre arabe da parte dei banchieri. Si riteneva che lo "0" creasse confusione e, quel che era peggio, venisse impiegato anche per redigere messaggi segreti. L’equivoco nasceva dal fatto che questo sistema di numerazione era chiamato "cifra", denominazione da cui deriva il termine messaggio cifrato. Come si è già fatto notare, sono esistiti altri sistemi numerici quali, per esempio, il sistema di numerazione «quinario» (basato sulle dita di una sola mano) o «vigesimale» (basato sulle venti dita complessive delle mani e dei piedi. È notorio che la numerazione celtica era a base 20.

La lingua francese, che ne conserva ancora traccia: infatti, per dire 83 si dice "quatre-vingt-trois" (quattro volte venti più tre). I numeri, però, non servono soltanto per contare, ma anche a calcolare ossia ad elaborare i dati per ottenere informazioni supplementari; il termine "calcoli" designava le pietre che portavano incisioni geometriche e che servivano, appunto, per contare (Calcolo, è risaputo, deriva dal latino calculus, cioè sasso, pietruzza). Anche i Sumeri usavano i "calcoli" che erano sassolini sagomati (un cono piccolo = 1, una sfera piccola = 10, un cono grande = 60...), a conferma del fatto che i popoli antichi, per far di conto, non usavano cifre scritte ma oggetti fisici, come i pallottolieri, o come i quipos incaici, cordicelle variamente annodate, di diversa lunghezza e di differenti colori (che, però, noi non sappiamo "leggere", cioè a dire "decifrare").

Sappiamo per altro che esistono altre basi di numerazione come ad esempio nel conteggio del tempo, effettuato in base 12 o 60, dove 60 secondi sono un minuto e 60 minuti sono un'ora e dove un giorno consta di 2 X 12 ore, ed un anno di 12 mesi. È inoltre interessante constatare come i rilevamenti temporali, espressi  numericamente, abbiano a che fare, per origine, con le più antiche osservazioni astronomiche. L’astronomia è in genere associata alla notte e all’oscurità, ma una delle verità centrali di questa disciplina è la sua quasi totale dipendenza dalla luce e dai numeri.

Circa 37.000 anni fa, uno … scultore-astronomo, che viveva in quelli che ora vengono chiamati Monti Lebombo, nello Swaziland (Africa del sud) incise 29 tacche uniformemente distanziate su un osso di babbuino, dove ogni solco probabilmente rappresentava una fase lunare. Antichi studiosi cinesi ci hanno lasciato mappe astronomiche incise su gusci di tartaruga, registrando  percorsi e tempi di stelle e pianeti. Invece, per la settimana di 7 giorni dobbiamo essere grati agli antichi babilonesi, che registrarono attentamente il comportamento del sole, della luna e delle 5 strane stelle (che ora sappiamo essere pianeti) visibili a occhio nudo e che cambiavano posizione sullo sfondo delle "stelle fisse", notte dopo notte. (Il termine «pianeta» vuole dire, in greco, «vagabondo»).

Ma i primi, grandi astronomi della storia furono i Caldei (il cui nome significa, guarda caso!, "conoscitori delle stelle") che abitavano la Mesopotamia fin dal XIV secolo a.C. Le loro osservazioni, documentate in caratteri cuneiformi, erano relative al Sole, questo sconvolgente astro che sorgeva nei vari periodi dell'anno in punti del cielo via via diversi ed il cui "ciclo", dopo circa 360 giorni, ricominciava.

Essi notarono ugualmente che la Luna riduceva le sue dimensioni giorno dopo giorno, per poi ritornare a crescere ed assumere nuovamente l'aspetto di "Luna piena", dopo 30 giorni circa. Ora, 360 diviso 30 fa 12 e 12 erano appunto le costellazioni dello zodiaco, ossia i settori del cielo occupati da stelle (assimilati fantasticamente ad animali) entro i quali trovava sistemazione il Sole nei 12 periodi nei quali era stato diviso l'anno. Anche se l’anno non dura 360 giorni (bensì 365 e 6 ore circa) e se i 12 mesi non corrispondono a 12 "lune" (cioè 12 mesi di trenta giorni/anno) e quindi la divisione dell'anno suggerita dai Caldei non risulta corretta, rimase tuttavia inalterata la suddivisione della circonferenza in 360 parti, chiamate «gradi». La ripartizione della circonferenza in gradi è legata quindi alla divisione della linea dell'orizzonte in 360 parti, e pertanto ha origine astronomica. Tuttavia, 360 è un numero troppo grande perché possa servire come unità di misura e quindi i Caldei preferirono, come base per una numerazione, la sua sesta parte, cioè il numero 60.

Rimaneva un ulteriore problema da risolvere, una volta risolto quello di "come contare": come registrare i numeri, ossia come "scrivere ciò che si era contato"?

I primi simboli utilizzati per scrivere i numeri erano delle raffigurazioni schematiche dette cuneiformi, perché venivano ottenute affondando, su tavolette d'argilla, la punta di uno stilo metallico. Essi furono introdotti dai Babilonesi nel 3000 a.C. circa. Successivamente vennero utilizzati anche dagli Egizi, che, per scrivere i numeri, adottarono un sistema a base decimale. Facendo uso di un semplice schema iterativo e di simboli distinti per ognuna delle prime sei potenze del dieci, gli egiziani riuscivano a incidere su pietra numeri superiori al milione. Un unico trattino verticale rappresentava l'unità, un archetto capovolto veniva usato per indicare 10, un laccio più o meno somigliante ad un punto interrogativo rappresentava 100, un fiore di loto 1000, un dito piegato 10.000, un barbio (simile a un girino) 100.000 e una figura inginocchiata (forse il Dio dell'Infinito) 1000.000.

 

 

 

Con la ripetizione di questi simboli si poteva scrivere, per esempio, il numero 3673 così:

 

 

I Greci furono pessimi matematici, pur essendo stati ottimi geometri, tanto che la geometria che si studia oggi nelle scuole è la cosiddetta geometria euclidea, formulata dal greco Euclide circa 300 anni prima di Cristo. I greci per scrivere i numeri si avvalsero di diversi sistemi, tutti molto approssimativi e di difficile impiego. Il più diffuso utilizzava le lettere dell'alfabeto, costituito di ventisette simboli. Il motivo per il quale i greci erano piuttosto arretrati nella scrittura dei numeri e conseguentemente nella pratica del conteggio risiede nel fatto che nella loro cultura le arti pratiche, cioè le attività di cui si occupavano i commercianti e gli artigiani, erano considerate attività di minor valore rispetto a quelle prive di fini utilitaristici come la filosofia e la poesia alle quali si dedicava la classe alto-locata.

Questa specie di indifferenza o addirittura di disprezzo verso il "far di conto" si protrarrà nei Paesi d'Europa per tutto il Medioevo. I Romani adottarono un sistema di numerazione a base decimale i cui simboli, i cosiddetti «numeri romani», erano una modificazione dei simboli adoperati dagli Etruschi, i quali si ispirarono, per la loro rappresentazione, alla forma delle mani e delle dita. I primi tre simboli della numerazione romana rappresentano una (I), due (II) o tre (III) dita distese della mano, il cinque (V) ravvisa il disegno schematico della mano aperta e il dieci (X) potrebbe essere la rappresentazione approssimativa di due mani aperte e congiunte, attraverso i polsi, in senso opposto. I Romani per scrivere i numeri riuscirono ad utilizzare meno simboli dei loro predecessori in quanto si avvalsero sia dell'addizione che della sottrazione. Quando i simboli si susseguivano da sinistra a destra in ordine di valore crescente si sommavano, se invece una cifra di minor valore precedeva una di maggior valore veniva sottratta.

Così, ad esempio, "XVI" significava dieci più cinque più uno, cioè sedici, mentre "IV" significava cinque meno uno, cioè quattro. Vale, comunque, la pena di accennare anche ai sistemi di numerazioni  di alcune altre civiltà extra-europee. Per anni i ricercatori si sono arrovellati per decodificare il sistema numerico degli Aztechi, fatto di punti, frecce e figure geometriche. Il sistema numerico azteco è vigesimale, cioè con base 20 e si compone di una serie di simboli geometrici. Il punto equivale a 1, una barretta a 5, un rombo a 10 e così via.

Sistema numerico degli Aztechi

Per quanto riguarda la matematica, ad esempio, i Maya, gli antichi abitanti dello Yucatàn, erano in possesso di un sistema di numerazione essenziale, ma molto efficace. Si trattava di un sistema in base venti che si fondava su tre soli simboli, una conchiglia vuota, un punto (Frijolito o Maisito, cioè un chicco di mais) e una linea (Palito cioè una barretta di legno), che rappresentavano rispettivamente lo zero, l'uno e il cinque. Essi conoscevano quindi lo zero prima degli europei e grazie ad esso erano in grado di utilizzare il sistema posizionale per scrivere i numeri.

 

 

 


  ([1])L’etimologia di numero (dal lat numerus) è molto incerta. Secondo alcuni dalla radice nem (= assegnare, dividere), la stessa di nemesi. Cfr. greco nemo (= io distribuisco). Secondo altri dalla stessa radice del sanscrito namati (= essere devoluto) e namas (= cibo, nel senso primario di porzione assegnata).

  ([2])Il termine deriva dal latino abacus, tramite la forma genitiva ἄβακας del greco ἄβαξ, che proviene a sua volta da un vocabolo ebraico che significa "polvere". Infatti il termine originario si riferiva ai primi abachi costituiti da una tavoletta di sabbia, divisa in scomparti. Funzionavano pressappoco come i pallottolieri. In ciascun scomparto veniva sistemata una serie di sassolini a seconda delle unità, delle decine, delle centinaia e così via, di cui era composto il numero. Negli stessi scomparti, in modo coerente, venivano aggiunti i sassolini corrispondenti al numero che doveva essere sommato. Si contavano quindi tutti i sassolini presenti nel comparto delle unità e, se superavano il dieci, si lasciavano solo quelli eccedenti tale numero, mentre, nel secondo scomparto, quello delle decine, si aggiungeva un sassolino che valeva pertanto quanto dieci del primo scomparto. Si raggruppavano quindi i sassolini dello scomparto delle decine e, come nel caso precedente, se superavano il dieci, se ne toglieva appunto tale numero lasciandone il resto e si aggiungeva quindi un sassolino nello scomparto delle centinaia e così di seguito..

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