Un fiore da guerra
Il carciofo.
Di Claudio Bosio.

 

5 settembre 2009. - Stando alla mitologia,  il carciofo è femmina.

Infatti, secondo la leggenda riportata da Quinto Orazio Placco (65-8 a.C.) il primo carciofo nacque in Grecia, precisamente nell'isola dì Zinari, sotto le spoglie di … una ragazza eccezionalmente bella di nome Cynara: Zeus, il "guardone sporcaccione", l’aveva spiata mentre prendeva il bagno in mare. Sedurla fu per lui un gioco da ragazzi. Se ne infatuò talmente che, per poterla avere sempre accanto a sé sull'Olimpo, volle farne una dea.

Cynara, ovviamente, gradì assai il "ceto eccelso" conferitole dal Dio, e, senza indugio, se ne andò con lui oltre le nubi perenni del Mytikas, la vetta dell’Olimpo. Ma presto fu presa dalla nostalgia della madre (mai sottovalutare, caro Zeus, il potere recondito della suocera!), tant’è che, di nascosto, ordì una fugace capatina nel mondo dei mortali, per farle visita. Zeus, venuto a conoscenza del fatto, se ne adirò terribilmente e, per punizione, la rispedì sulla terra. Tuttavia, a scanso di altri equivoci, la trasfor­mò in un fiore dai petali aguzzi e ferrei: in un carciofo, appunto.

A dar retta alla scienza  invece il carciofo è … bisex.

Fu Linneo (1707–1778)(1) il primo a dagli dell’ermafrodito, (Cynara scolymus L.), catalogandolo nella famiglia delle Composite, la stessa dei cardi e delle margherite. A pensarci bene, in effetti, il carciofo si lascia sfogliare voluttuosamente come una margherita ma, al tempo stesso, è pungente ed auto-protetto come il cardo. A ragione, quindi, è detto, con un indovinatissimo ossimoro, "il piacere spinoso". Indipendentemente dalla sua natura, femmina o/e maschio che sia, il carciofo ci appare sempre in bilico fra il darsi e il negarsi: dona il suo "cuore" solo a chi non ha fretta e riesce a vincere la sua ispida ritrosia. (La qual cosa gli ha fatto, certamente, guadagnare la fama di cibo afrodisiaco, emblema delle pungenti delizie dell'amore).

Quel che è certo è che il carciofo, come tale, deriva dal cardo selvatico: è il risultato della paziente opera dei botanici e degli orticultori. Ci sono numerose varietà: alcune con le spine, altre prive di foglie acuminate. Di solito ne mangiamo il fiore (costituito da un capolino di grandi dimensioni) e le brattee (comunemente dette foglie) nella parte più tenera interna, bianca. Le vere foglie, invece, sono quelle attaccate al gambo, e non sono edibili. Che il carciofo fosse buono da mangiare in realtà lo sapevano benissimo gli antichi romani che, Trimalcione in testa, lo consideravano la migliore delle entrées. Non diversamente dai quiriti dei nostri giorni che cominciano spesso e volentieri il pasto con un carciofo alla giudia.

E se nella barbarica notte dei Medioevo della Cynara si perdono le tracce, l’età moderna ne decreta il trionfale ritorno. Madrina d'eccezione Caterina de' Medici (1519-1589), che dalla sua Toscana lo portò in Francia, nel 1547, quando andò sposa ad Enrico II facendone il cibo più à la page de11a capitale. Se ne son dette di cotte e di crude a proposito di Caterina de’Medici.

Educanda quattordicenne, tracagnotta, bruttina, palliduccia, con gli occhi a palla caratteristici della famiglia Medici, venne sdegnosamente definita la "grassa bottegaia fiorentina", quando arrivò a Marsiglia per sposare il bel coetaneo, delfino della corona, Henri de Valois, il futuro Enrico II d'Orléans. Figurarsi cosa dissero di lei le malelingue dell’epoca, circa il fatto che impiegò 10 anni per … fare un figlio! Anche per questo, si narra che la "bottegaia" ricorresse a molti alimenti che riteneva afrodisiaci. Entravano nell'elenco: cardo, scalogno, zucchine, sedano, funghi, fave, cipolle, e carciofi. (Afrodisiaci o meno, sappiamo che Caterina mise alla luce ben nove eredi!) Le cronache del tempo riportano un pranzo di gala, dato in suo onore dalla città di Parigi nel 1549.

A questa festa vennero serviti cibi che dovevano essere divisibili per tre, il numero perfetto della superstiziosa regina: "33 arrosti di capriolo, 33 lepri, 6 maiali, 66 galline da brodo, 66 fagiani, 3 staia di fagioli, 3 staia di piselli e 12 dozzine di carciofi".

Chissà quanto tempo ancora il carciofo sarebbe rimasto segregato nelle cucine domestiche, se un cronista francese, Pierre de l'E­stoile, non avesse reso pubblico il formidabile appetito di Caterina de' Medici, regina di Francia.

Così egli scrive in data 19 giugno 1576 a proposito del pranzo di nozze in occasione del matrimonio del marchese di Loménie con mademoiselle de Martigies: «La Regina madre mangiò così tanto da sentirsi male come non le era mai accaduto prima.Si disse che ciò fu dovuto all'aver mangiato troppi cuori di carciofo, di cui era molto ghiotta...» Non deve sorprendere che Caterina amasse i carciofi, dal momento che era stata praticamente lei stessa a introdurli in Francia: a quel tempo, i carciofi costituivano ancora una novità gastronomica tra le tante altre "italiane'' che i suoi cuochi di fiducia avevano importato da Firenze. Anche il Re Sole ne diverrà un formidabile mangiatore.

Probabilmente anche perché aveva letto, nel Libro della Natura scritto da Bartolomeo Boldo, medico bresciano, nel 1576: «Il carciofo ha la virtù di provocare Venere sia nella donna che nell'uomo: la donna la rende più desiderabile, mentre dà una mano all'uomo un pò pigro  in certe cose…». 

Etimologicamente, la parola carciofo procede dall'arabo al-kharshûf, che vuol dire ''cardo spinoso". Documentazioni storiche, linguistiche e molecolari sembrano indicare che la domesticazione del carciofo (Cynara scolymus) dal suo progenitore selvatico (Cynara cardunculus) possa essere avvenuta in Sicilia, a partire dal I secolo circa. La pianta chiamata Cynara era già conosciuta dai greci e dai romani, ma sicuramente si trattava di selvatico. Lucio Giunio Moderato Columella (4-70 d.C.) nel De rustica e Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio (23–79 d.C.) nella Naturalis historia registrano la presenza del carciofo già presso gli Egizi.

Era comunque noto anche ai Greci (cactòs) e ai Rimani (cardulus), che lo cucinavano con miele, aceto e cumino. (e già lo ritenevano un potente afrodisiaco). Dioscoride Pedanio (40-90 circa d.C.), botanico e farmacista greco della Cilicia, nonché medico che viaggiava al seguito dell'esercito di Nerone, raccolse molte notizie sul carciofo e i suoi numerosi impieghi in medicina, che riportò nella famosa sua opera poi tradotta in latino, De materia medica: quelle notizie e quelle indicazioni resteranno nei testi di Medicina per oltre 1500 anni.

Tra le molte virtù attribuite al carciofo c'era anche quella di favorire la procreazione. In Italia, esso diverrà noto come "cardo selvatico di Sicilia" Vi sarebbe giunto dai Paesi del Nord Africa, ove cresceva spontaneamente, e da dove a partire dall'800 d.C. gli Arabi ne diffusero la coltivazione nel territorio di Granada. Seguì un lungo periodo nel quale la coltura del carciofo fu quasi abbandonata, anche perché il suo gusto amaro non veniva troppo apprezzato: ai primi del ‘500 Ludovico Ariosto (1474-1533) scriveva che in esso "durezza, spine e amaritudine più vi trovi che bontade". Intorno a quell’epoca il carciofo venne introdotto nel Napoletano da Filippo Strozzi (1489–1538) ricco banchiere auto-esiliatosi da Firenze, avversario dei Medici.

Diffuso ampiamente in Toscana, passò da questa regione in vari Paesi del Nord.  Da esso discende l’amarissimo cardo si Provenza, tradizionalmente usato nel minestrone di Natale. Verosimilmente, tra l’800 ed il 1500, il carciofo (certamente ottenuto tramite colture botaniche e processi di selezione del cardo) ha presentato ulteriori trasformazioni e miglioramenti, soprattutto negli orti dei conventi, sino a divenire la pianta che noi conosciamo.

In Inghilterra sarebbero stati gli Olandesi a introdurlo agli inizi del XVI secolo: alcuni documenti testimoniano chi nel 1530 esso veniva coltivato nel Newhall nell'orto di Enrico VIII. E agli inizi del nuovo secolo un libro di cucina riporta una ricetta dal titolo "Come preparare uno sfornato di carciofi"; ma, in linea generale, gli Inglesi  si sono quasi sempre mostrati inclini a snobbarlo.

Nel continente americano, il carciofo cominciò ad essere coltivato circa due secoli dopo (1700) da parte dei colonizzatori, in particolare dagli immigrati francesi, in Louisiana, verso gli inizi del 1800. Ancora oggi, a New Orleans, in molti dei ristoranti del quartiere francese il carciofo viene servito come contorno per ostriche e altri frutti di mare.

Gli Spagnoli, invece, provvidero a trapiantarlo in California nell'area di Monterey, dove, favorito dalle ottime condizioni climatiche. è attecchito al punto da divenire una vera "pianta invasiva", quasi una minaccia per l’habitat della zona.

Ciò che non ha impedito alla cittadina costiera di Castroville (5000 abitanti) di auto-proclamarsi "Centro Mondiale dei Carciofi'' e di festeggiare, nel mese di maggio, questo titolo con un frequentatissimo "Festival del Carciofo", (Artichoke Festival) con tanto di elezione della "reginetta"­: la prima Artichoke Queen ad essere eletta, nel 1949, fu una certa Marylin Monroe …

Rimasto per secoli un prodotto a coltivazione locale, il carciofo viene oggi coltivato in varie parti del mondo in piantagioni molto estese: se ne producono annualmente circa 13 milioni di quintali, dei quali il 56% in Italia. Qui se ne conoscono vari tipi: catanese, romanesco, violetto di Toscana, spinoso sardo…

Assai poco edificante è, per altro, la storia del commercio dei carciofi nei primi decenni dei XX secolo negli USA, dove, dopo una serie di "guerre" commerciali e, spesso, anche cruente, il boss Ciro Terranova "Whitey" riuscì ad avere il monopolio assoluto. Per porre rimedio a questo st5ato di cose, l'allora sindaco italo-americano di New York, Fio­rello La Guardia (1882-1947), fu costretto a dichiarare "illegali la vendita, la mostra e il possesso dei carciofi" nell'area di sua competenza. Ciò anche se lo stesso La Guardia aveva dichiarato pubblicamente di es­sere lui stesso un appassionato del vegetale

La parte commestibile della pianta è in realtà il fiore e il cuore centrale chiamato "cimarolo" è il più ricercato, e di conseguenza anche il più costoso, perché più tenero e con le foglie più seriate.

I carciofi possono essere cucinati in vari modi: alla romana, alla giudia, alla siciliana, fritti per citare alcune delle ricette più note.

Quando sono giovani e teneri invece, è consigliabile mangiarli crudi, tagliati a fettine, conditi con olio, limone e qualche fogliolina di menta.

Un tempo, i carciofi si conservano male e dovevano quindi essere consumati entro breve tempo, mentre, attualmente, in frigorifero, con una temperatura di 0-1°C e un'umidità relativa al 95%, si possono conservare anche per 30 giorni. Dal punto di vista chimico, la composizione media del carciofo non si discosta da quella riportata in tabella.

 

Composizione chimica del carciofo

 

Energia

23 kcal / 100 gr

Parte edibile

35%

Colesterolo

0

Acqua

84,0 gr/ 100

Protidi

2,7

Lipidi

0,2

Glucidi

2,5

Fibre

7,6

Vitamina B1

0,06 mgr/100

Vitamina B2

0,10

Vitamina PP

0,5

Vitamina C

12

Vitamina A

18    mcgr/100

Ferro

1,0    mgr/100

Calcio

86,0

Fosforo

70,0

Sodio

133

Potassio

376

 

Il carciofo, abbastanza ricco di ferro, risulta di buon valore nutritivo e di basso apporto calorico. Per la cultura popolare possiede virtù terapeutiche e salutari grazie alla ricchezza della sua composizione: sodio, potassio, calcio, fosforo, ferro, vitamine (A, B1, B2, C, PP), acido malico, acido citrico, tannini e zuccheri consentiti anche ai diabetici; è quindi per la tradizione: tonico, stimolatore del fegato, sedativo della tosse, contribuisce a purificare il sangue, fortifica il cuore, dissolve i calcoli e disintossica.

La medicina popolare ha attribuito al carciofo particolari virtù terapeutiche, forse a causa dell’aroma caratteristico. Oggi il carciofo viene apprezzato come fonte di cellulosa e di fibra alimentare. Ha uno scarso contenuto vitaminico. Piuttosto ricco invece di sali di potassio e di ferro (scarsamente utilizzabili) L’apporto calorico è trascurabile. Il carciofo contiene piccole quantità di cinarina, un principio attivo (purtroppo … inattivato dalla cottura) che favorisce la secrezione biliare e la diuresi.

Il carciofo ha molto scarto: circa il 65%, quindi non è un ortaggio economico. Per il contenuto di fibra e di acidi organici (tannino) può risultare irritante per l’intestino dei bambini, quindi conviene proporlo dopo i 3 anni. Il carciofo si trova in commercio anche conservato: a questo scopo viene utilizzata una produzione successiva (e più piccola) a quella che dà i carciofi normali nel corso dell’anno. Prima di essere sterilizzati e immersi sott’olio in una soluzione acidulata, vengono sbollentati in acqua. Come accennato, grazie alla cinarina, una particolare sostanza amara contenuta nelle foglie, nello stelo e nell'infiorescenza, il carciofo svolge un'azione benefica sulla secrezione biliare, favorisce la diuresi renale e regolarizza le funzioni intestinali.

Altro principio attivo è la cinaropicrina. Per la presenza di composti vitaminici, infine riduce la permeabilità e la fragilità dei vasi capillari. In cosmesi invece, il succo svolge un'azione bioattivante, vivificante e tonificante per la pelle devitalizzata e foruncolosa. Dopo l'acqua, il componente principale dei carciofi sono i carboidrati, tra i quali si distinguono l'inulina e le fibre. I minerali principali sono il sodio, il potassio, il fosforo e il calcio. Tra le vitamine prevale la presenza di B1, B3, e piccole quantità di vitamina C. Le attività farmacologiche più note sono:

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Coleretica, la Cinarina contenuta nel carciofo provoca un aumento del flusso biliare e della diuresi.

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Epato-protettrice, è l’azione più conosciuta e utilizzata. Anche il Cardo Mariano precursore del carciofo è utilizzato allo stesso scopo.

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Ipocolesterolemizzante, allo stato attuale è l’azione più importante e studiata. La Cinarina contenuta nel carciofo in una buona quantità è risultata avere un importante ruolo nell’abbassare il livello del colesterolo. Tale effetto farmacologico è stato dimostrato da numerosi studi scientifici. Le dosi terapeutiche di Cinarina variano da 60 mg a 1,5 g.

Effettivamente, esistono diversi studi scientifici che dimostrano una serie di effetti positivi legati all'assunzione della cinarina. Il primo è quello antidispeptico, in particolare coleretico, un altro è la capacità di ridurre la lipemia, in particolare la quantità totale e la frazione LDL (Low Density Lipoproteins) del colesterolo e i trigliceridi. Non è ancora chiaro il meccanismo d'azione ma sembrerebbe che gli ingredienti attivi siano alcuni acidi capaci di stimolare a livello epatico la promozione della circolazione sanguigna, la mobilizzazione di energie di riserva, l'aumento degli epatociti con un doppio nucleo, l'aumento del RNA (Acido Ribo-Nucleico) contenuto nelle cellule epatiche, e l'attivazione della mitosi cellulare.

Più importante per spiegare le attività farmacologiche degli estratti di carciofo è la presenza di un complesso di metaboliti secondari caratteristici:

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Derivati dell'acido caffeico: tra gli altri acido clorogenico, acido neoclorogenico, acido criptoclorogenico, oltre alla già citata cinarina.

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Flavonoidi: in particolare rutina.

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Lattoni sesquiterpenici: tra gli altri cinaropicrina, deidrocinaropicrina, grosseimina, cinaratriolo.

Un buon carciofo deve avere le seguenti caratteristiche: punta chiusa, foglie esterne di colore verde scuro, interne tenere, assenza di peluria, gambo tenero e senza ammaccature. 

Nella prima raccolta si ottengono una decina di carciofi per pianta, che in seguito rigenera producendo un certo numero di carciofi più piccoli e teneri.   

Le sostanze contenute nel carciofo sono assolutamente prive di tossicità. 

Per  trarre beneficio di queste straordinarie qualità curative, bisognerebbe assumere una quantità di carciofo fresco pari a 100-300 g al dì, per un periodo abbastanza prolungato. Il carciofo alla luce dei più recenti studi deve essere considerato un autentico toccasana. Il suo uso dovrebbe entrare nella quotidianità alimentare d’ogni individuo, e in particolar modo in quei soggetti che hanno o potrebbero avere, per ragioni ereditarie, un livello di colesterolo superiore alla media. 

I Carciofi sono molti duttili e accompagnano bene qualunque tipo di carne e anche molti pesci ma....con quale vino? Per il loro alto contenuto di ferro, lasciano in bocca un sapore quasi metallico ed è quindi molto difficile abbinarvi un vino, comunque i piatti che prevedono pasta o riso possono essere accompagnati da un rosato leggero, mentre i carciofi fritti e le frittate di carciofi si sposano bene con un vino bianco strutturato e morbido. I carciofi crudi accettano purtroppo solo l'acqua

Esiste una precisa tecnica per pulire l'esigente carciofo: il gambo si elimina tutto o in parte a seconda di come deve essere cucinato. Si scartano le foglie esterne e delle altre si taglia la parte superiore, lasciando solo quella chiara. Infine si taglia la punta del carciofo si tornisce il fondo scartando la scorza dura e fibrosa. Prima di tagliarli a spicchi si scavano leggermente al centro per togliere il fieno. Durante la pulitura e fino al momento di cucinarli devono rimanere immersi in acqua acidulata con succo di limone per non farli annerire.

È altresì prassi molto più invalsa di quanto non si pensi,  la preparazione casalinga di "rimedi" a base di carciofo, quali tinture, vino e decotti reputati adatti per le disfunzioni epatiche e biliari, contro reumatismi, artrite e gotta. Il decotto a base di carciofo è usato anche per impacchi e lavaggi per la pulizia della pelle del volto.

La produzione spontanea dei carciofi è di fine inverno-primavera, ma con opportune tecniche colturali può essere prodotto anche in autunno-inverno. Si coltiva nell'orto o in pieno campo; da ogni pianta si può raccogliere una decina di carciofi, per cui in un modesto appezzamento si possono avere quantità sufficienti anche coltivando poche piante. Vegeta in un clima mite e asciutto anche se si adatta a climi relativamente freddi, ma teme gli sbalzi di temperatura e le brinate.

Il carciofo è una specie ortiva che riveste notevole importanza nell'economia agricola italiana. E' tra le specie ortive più coltivate nel nostro Paese collocandosi al 3° posto. La produzione oscilla intorno alle 500.000 tonnellate di capolini/anno. L'Italia è uno dei primi paesi europei produttori di carciofo e partecipa alla produzione mondiale con il 40% di prodotto.

Il carciofo viene distinto in "Primaticcio" e "Tardivo" il primo coltivato soprattutto nel meridione d'Italia e nelle isole, il secondo nel Lazio e Toscana. Le varietà più coltivate sono: Violetto di Sicilia, Catanese, Locale di Mola, Brindisino, Tonda di Paestum, Romanesco, Spinoso Sardo, Violetto di Toscana, ed altre di minore importanza.

Amaro Cynar, una pubblicità degli anni '60.II Cynara cardunculus varietà scolymus presenta anche un altro pregio: delle foglie molto belle che avrebbero ispirato non pochi artisti.

Nella pittura rinascimentale italiana, il carciofo è rappresentato in diversi quadri: "L'ortolana" di Vincenzo Campi, "L'estate" e "Vertumnus" di Arcimboldo, ad esempio. Si può dire che, oltre che le tavole, il carciofo conquistò ben presto anche le … tavolozze.

La sua sensuale, plastica pienezza sembra fatta apposta per eccitare il barocco virtuosismo dei pittori di nature morte. E la mirabolante gastronomia seicentesca si addice particolarmente al carciofo, che proprio in quelperiodo consolida la sua fama di ortaggio generoso, bello da vedere, buono per tutti gli usi e di cui non si butta via niente.

Fritto, in minestra, imbottito, crudo, gratinato, bollito, associato a carne, pe­sce, uova, selvaggina e frutti di mare.

Praticamente come lo cuciniamo oggi. Il Cynara è dunque una verdura moderna da almeno quattro secoli, proprio perché riesce a coniu­gare piacere e salute, sfizio e leggerezza, fantasia e sapore. Facile da preparare, veloce da cuocere. Massimo risultato con il minimo sforzo. Il carciofo è un esempio perfetto di ottimizzazione. Il miglior antidoto contro tante peripezie dell’attuale modus vivendi.

In effetti, negli anni ‘60 un famoso amaro a base di carciofo (Cynar), era pubblicizzato con questo slogan: "Contro il logorio della vita moderna". Sarebbe il caso di riportare in auge questa definizione, magari cercando di vivere, facendo ricorso o meno al carciofo, un pò più serenamente.

 

[1] Carl Nilsson Linnaeus, svedese, divenuto Carl von Linné in seguito all'acquisizione di un titolo nobiliare e noto ai più come Linneo (dalla forma latinizzata del nome Carolus Linnaeus) è considerato il padre nomenclatura binomiale nella classificazione delle piante e degli animali. Come suggerisce il termine binomiale, il nome scientifico di una specie viene coniato dalla combinazione di due nomi  (in origine in latino):

- il primo (nome generico) è il nome del genere a cui appartiene la specie

il secondo (nome triviale o nome specifico) caratterizza e distingue quella specie dalle altre appartenenti a quel genere

Entrambi i nomi vanno inoltre scritti in corsivo (ad esempio Homo sapiens).

La lettera maiuscola, posta spesso a seguire delle indicazioni di nomenclatura binomiale nei cataloghi di specie, identifica il cognome dello scienziato, es. Cynara scolymus L, dove L sta per Linneo.