Addio alla carta carbone,
ora si fabbrica solo in Messico


Rimpiazzata dalle tecnologie, oggi è un oggetto di culto.

27 settembre 2006. - La sporchevole regina degli uffici, incubo delle dattilografe, servizievole assistente di ministri e ambasciatori, se la passa male. Diciamola francamente: è ormai in agonia. Passerà il suo duecentesimo compleanno, il prossimo 6 ottobre, in pietose condizioni di salute. La carta carbone è la prossima vittima dell'implacabile legge dell'obsolescenza tecnologica. A lungo è stata il mezzo più rapido ed economico per moltiplicare un testo: ora non più. Ma sarebbe un peccato che se ne andasse senza un affettuoso requiescat. In fondo ha fatto ben di più che scrivere la storia: l'ha duplicata.

Il mondo ha ancora bisogno di copie a bassa tiratura: ma ormai provvedono fotocopiatrici, computer e semmai, per gli usi più artigianali e volanti, quella linda ed educata nipotina che è la carta chimica autocopiante. Per l'untuoso croccante foglio argenteo è arrivata l'ora della ritirata. I bollettini commerciali la danno ormai allo stremo: in Italia se ne vendono circa tre milioni di copie l'anno, sembrano tanti, ma vuol dire che solo un italiano su venti ne usa un singolo foglietto nell'arco di dodici mesi; e la tendenza, benché il mercato sia ormai ai minimi termini, segna meno cinque per cento annuo.

Le grandi cartolerie l'hanno espulsa dal catalogo, a Roma un responsabile vendite della Buffetti sobbalza come se gli chiedessi una bistecca di dinosauro: "Sono anni che non la teniamo", e poi, confidenziale: "ma se ne ha bisogno, provo a trovargliene una scatola...", ohibò, siamo già al mercato clandestino.

"Devo averne un po' da qualche parte", deve pensarci un po' su Alberta Capponi, titolare della cartoleria Novecento di Milano, bottega storica tutelata, "ne venderò due all'anno". A chi? "Ai nostalgici delle macchine per scrivere", sorride. E racconta dei suoi clienti più affezionati e originali, un ex dirigente Olivetti, un avvocato in pensione, refrattari ai computer, che lucidano le loro Lettera 32 e in pieno terzo millennio trovano elegante conservare copia della corrispondenza grazie a un semplicissimo dispositivo nato quando Napoleone era imperatore.

La storia ce ne tramanda anche la paternità: Ralph Wedgwood, bel tipo d'inventore inglese che, nelle pause dei suoi sforzi di ricostruire la perduta lingua di Adamo, brevettò un meccanismo per produrre simultaneamente due copie identiche di un manoscritto: un sandwich di carbone fra due veline di carta, bisognava scrivere energicamente "a secco", con una punta d'agata, e su una delle due copie il testo risultava ovviamente rovesciato, così bisognava leggerlo allo specchio, oppure in trasparenza. Ma era già un enorme progresso rispetto alla ricopiatura manuale. Ne regalò le prime copie all'amico Percy Bysshe Shelley, lo scrittore, che ne fece uso immediato ed entusiasta: la storia della carta carbone dunque non comincia con una fattura commerciale, ma con una poesia. O forse con una lettera d'amore, perché, come su tutte le invenzioni più fortunate, anche qui c'è una disputa di primogenitura, che ci riguarda: negli stessi anni infatti l'italiano Pellegrino Turri costruì e donò alla sua amante contessina Carolina Fantoni un aggeggio per la scrittura meccanica di cui non ci è giunto neppure un disegno, ma che certamente faceva uso di un foglio carbonato. L'innamorato Pellegrino aveva capito tutto: fu solo con la diffusione della macchina per scrivere, verso il 1870, che la carta carbone raggiunse il suo trionfo mondiale.

Mass medium a pieno titolo, lo avrebbe definito McLuhan: mise in comunicazione l'umanità, benché a piccoli gruppi (massimo cinque, sei copie per volta). Strumento di sottili gerarchie negli uffici: più la copia che ti spetta è sfocata, meno conti nell'ordine di importanza. Come tutti i media, indifferente alla morale: lavorò per la pace e per la guerra, per scopi nobili e sordidi. Medium senza ideologia, ma con grandi meriti agli occhi degli storici. Interi archivi, come quello sterminato di Winston Churchill, sono composti di copie a carbone. Dei romanzi di Mark Twain ci rimangono le tracce carbonate. In odor di falso per i giudici (a lungo le copie carbone non furono ammesse come prova nei processi), preziosa delatrice per i detective (conserva in controluce lo scritto che ha copiato), la carta carbone s'è (letteralmente) messa in mezzo alla comunicazione umana per un tempo più lungo di qualsiasi altro medium tecnologico.

Ma adesso è proprio finita. "Il sarto mi fa ancora le ricevute con la carta carbone: la nostra, naturalmente", scherza Hugh Keenan, direttore del marketing della Kores, la multinazionale svizzera che da oltre un secolo nel mondo è sinonimo di carta carbone, e che negli anni Sessanta, al massimo del fulgore, reclutò come testimonial Gina Lollobrigida. Ma ammette che il suo compito, da otto anni, è dirottare il core business della ditta sulla colla sintetica. La "signorina Kores", il logo con la silhouette al neon di una dattilografa, è stata smontata qualche anno fa dalla parete del palazzo che a Milano guardava in faccia il Duomo, con dolore dei nostalgici.

Chiusi gli impianti europei, la carta Kores si fabbrica solo in Messico. Quanto ai mercati, "ci restano, ancora per poco, quelli emergenti": la Romania, con solo 18 milioni di abitanti, consuma ancora 10 milioni di fogli l'anno; ma in India e Cina, tigri dello sviluppo, il mercato va giù a ritmi del 40 per cento. Lo stop completo della produzione non è un'ipotesi remota. Il mercato della nostalgia è già pronto ad approfittarne: su eBay vanno già all'asta buste vintage di carta carbone anni '60.

Naturalmente, il declino può essere ancora molto lento, perché "se il progresso fa strage di clienti, decima anche i concorrenti", ragiona Ivana Altea, direttrice del marketing di Pelikan Italia, "quindi uno sbocco commerciale per adesso c'è ancora". E forse ci sarà sempre, minima ma costante, una nicchia di mercato, magari ben diversa da quella immaginata da Wedgwood: "Ci arrivano ordini dai negozi di bricolage e di ricamo. La usano per trasferire i disegni degli stencils o del punto croce". Un vero pensionamento. Quand'era in servizio, la carta carbone ha imposto verità ufficiali (le "veline" di regime ai giornali) e diffuso controverità clandestine (i samizdat della dissidenza sovietica), ha gestito contabilità smisurate e economie di bottega: adesso si gode un meritato ma un po' malinconico riposo, in tinello, tra acquerelli e cucirini.

Quando avrà raggiunto il telegrafo e la penna d'oca nel paradiso dei media defunti, di lei resterà un'unica traccia: la sigletta "Cc" nei moduli delle email, lì dove scriviamo gli indirizzi dei destinatari secondari, significa appunto Carbon Copy: estremo omaggio dell'ufficio tecnologico a un'antica collega che seppe lavorare con grande doppiezza, cioè con onestà.

 

Da Repubblica.it