Università, il flop delle matricole
"Iscrizioni diminuite del 4,5%"

Secondo l'Istat sono circa 16mila in meno rispetto allo scorso anno (1 studente su 5)
Le ragazze si confermano maggioranza mentre prosegue il trend delle lauree triennali

ROMA, 23 ottobre 2006. - Sedicimila matricole in meno, uno studente su cinque che dopo i primi 12 mesi di studio decide di gettare la spugna. Non sono certo dati incoraggianti per gli atenei italiani quelli che provengono dall'Istat, che all'interno dell'indagine "Università e lavoro: orientarsi con la statistica" ha cercato di fotografare il sistema universitario italiano.

Secondo il rapporto dell'Istituto di statistica nello scorso anno accademico si è registrata una consistente diminuzione dei giovani che hanno deciso di iscriversi per la prima volta ad un corso di laurea: quasi 332 mila, il 4,5% in meno rispetto all'anno precedente quando invece il numero degli immatricolati aveva toccato quota 347 mila. Una diminuzione che porta il sistema universitario ai livelli del 2001 (l'anno di attuazione della riforma del 3+2) quando le matricole erano state 331.368.

Ma se da allora gli immatricolati erano cresciuti in modo esponenziale (fino a toccare il tetto massimo di 353.119 nuovi iscritti nell'anno accademico 2003/2004), quella registrata oggi dall'Istat è una vera battuta d'arresto, visto che in soli tre anni gli atenei italiani hanno perso per strada qualcosa come 21mila iscritti.

I dati. Nel 2005/06, rileva l'Istat, la quasi totalità delle immatricolazioni si è indirizzata verso i corsi triennali introdotti con la riforma del 3+2 (il 92,9%), mentre il 5,7% delle matricole ha scelto i corsi di laurea a ciclo unico (Medicina, Farmacia, Architettura e Scienze della Formazione primaria). Le ragazze sono la maggioranza rispetto ai ragazzi nelle iscrizioni all'università dopo il diploma di scuola superiore (81% contro 67%). Su 100 immatricolati, le ragazze sono 56, mentre i ragazzi soltanto 44. Le classi di laurea che riguardano l'insegnamento, le lingue e la psicologia sono quelli in cui la presenza femminile è particolarmente alt, a mentre quelli che riguardano difesa e sicurezza, ingegneria e materie a carattere scientifico, registrano invece un maggiore peso della componente maschile.

Abbandoni e fuori corso. Ancora consistente la quota di studenti che dopo il primo anno di università decide di abbandonare gli studi: una matricola su cinque, infatti, non rinnova l'iscrizione al secondo anno. Stesso discorso anche per i fuori corso, circa il 40% degli studenti, che rappresentano la maggioranza anche dei 289.155 laureati (in corsi di laurea triennali, tradizionali e a ciclo unico) con il 64%. Per chi sceglie una laurea triennale la via che porta alla conquista del titolo sembra in discesa, visto che quasi il 60% degli iscritti la percorre nei tempi previsti. Diverso discorso invece per quelle quinquennali o a ciclo unico, dove poco più di uno studente su dieci riesce a laurearsi in tempo.

La rivincita del diploma. A spiegare il calo delle immatricolazioni nelle università, ci sono poi i dati che l'Istat fornisce sulla condizione occupazionale dei laureati e quella dei diplomati. Secondo l'Istituto di Statistica nel periodo immediatamente successivo alla conclusione degli studi c'è da registrare un leggerissimo vantaggio per i diplomati: il 21,9% di chi ha deciso di non proseguire gli studi all'Università dopo l'esame di maturità ottiene un posto di lavoro contro il 21,1% dei laureati. Tuttavia, la situazione si ribalta nel lungo periodo a 5 anni dal conseguimento del titolo: per i laureati infatti la disoccupazione scende all'8,7%, mentre tra i diplomati di età compresa tra i 25 e i 29 anni si attesta al 10,7%.

Le lauree più redditizie. Tra corsi di laurea che favoriscono un inserimento lavorativo più rapido secondo l'Istat, spiccano quelli del gruppo di Ingegneria gestionale (a tre anni dalla laurea l'89% degli ingegneri gestionali ha un'occupazione continuativa), Ingegneria delle telecomunicazioni (88%) e Ingegneria aerospaziale e aeronautica (86%). Mentre i corsi con tassi di occupazione più bassi sono quelli del gruppo medico ed educazione fisica, impegnati in un lavoro continuativo soltanto in circa 20 casi su 100 insieme a quelli del gruppo giuridico (42%), letterario (46%) e insegnamento (51%). Un dato che può essere spiegato anche con il fatto che molti giovani alla fine di questi corsi di studio sono impegnati in corsi di specializzazione o tirocinio che ritardano l'inserimento nel campo lavorativo.

 

Da Repubblica.it