Beneficenza, il grande business
La fondazione di Gates. Le zanzariere della Stone. I miliardi di Telethon. Pioggia di critiche, anche dalla Chiesa. Benvenuti nella beneficenza versione Ventunesimo secolo.

21 dicembre 2006. - Per Natale l'ong inglese Good Gifts ha messo on line un catalogo di regali da destinare al Terzo Mondo. Nel catalogo – fatto di regali-offerte che ogni utente può finanziare – compaiono: una “bicicletta per veterinario” a 35 sterline, un “vestito nuovo per mamma” a 12 sterline; o, se siete ricchi, una “fattoria modello per il Ruanda”, a 25.000 sterline. Basta un click e il cliente generoso seleziona e paga con carta di credito.

 

Tra il dire e il fare c'è di mezzo Sharon Stone

Se la filantropia fa la sua comparsa su internet, si diffonde anche tra i miliardari e le star. E si espande anche nel mondo degli affari, come alla borsa di Parigi che da 3 anni emette delle “azioni a scopo caritatevole”. Durante una conferenza al summit di Davos, nel 2005, Sharon Stone ha deciso di fare una donazione di 10.000 dollari al Presidente della Tanzania per comprare delle zanzariere contro la malaria. La protagonista di Basic Instinct ha poi invitato il pubblico a fara come lei. Ha avuto successo? Sì, stando alla Cbs News, che il giorno successivo ha intitolato: “Sharon Stone raccoglie 1 milione di dollari in 5 minuti”. Ma non secondo il Courrier suisse. Che, nel gennaio 2006, rivelò che i donatori avevano versato solo 140.000 dollari. E che le zanzariere regalate avevano danneggiato i programmi di aiuto locali.

 

La beneficenza? È glamour

Alain Caillé, sociologo francese autore di Don, intérêt et désintéressement (“dono, interesse e disinteressamento”, ndr), evoca un «ritorno del rimosso», per spiegare il successo delle pratiche volontarie. Secondo Caillé, le società contemporanee hanno visto trionfare l’ideologia dell’utile e la logica dell’interesse individuale, a scapito della gratuità e del dono. Ma l'umanità non può accontentarsi della prospettiva monetaria: l’azione disinteressata, la generosità, restano indispensabili alla nostra umanità. Ed è per questo che la beneficenza e la filantropia riprendono piede.

Si potrebbe obiettare chi dona lo fa per un interesse. Così Angelina Jolie, una delle nuove icone dell'azione umanitaria, non ha esitato a dichiarare che il suo lavoro di attrice non l’aiutava per niente a dormire la notte: «Quando faccio qualcosa per gli altri, sento che la mia vita ha un senso».

Se beneficenza e arricchimento, uno dei motori del capitalismo, sembrano non andare di pari passo, la filantropia, che prima di tutto è una cosa da ricchi e fondazioni, va d’accordo con il liberismo. Secondo il quale, infatti, per lottare contro la povertà bastano i doni, mentre la redistribuzione statale e la protezione sociale sono superflue. Ecco perché i discepoli dell’economista Von Hayek non possono che rallegrarsi nel vedere imprenditori miliardari come Bill Gates e Warren Buffet trasformarsi in nuovi crociati umanitari.

 

Se la Chiesa accusa Telethon di eugenismo

La fondazione di Bill e Melinda Gates, creata nel 2000 per portare innovazioni a livello di sanità e conoscenza ai più disagiati, fa girare ormai più di 60 miliardi di dollari, da quando, a giungo scorso, Warren Buffet, il secondo colosso degli Stati Uniti, ha deciso di fare una donazione di una trentina di miliardi. Una somma che rappresenta quasi i tre quarti del suo patrimonio totale, che si aggira intorno ai 45 miliardi. La donazione totale della fondazione oltrepassa ormai il Pil totale di Camerun, Tanzania, Costa d’Avorio e Repubblica del Congo messi insieme. E poco importa se le scuole aiutate dalla fondazione hanno computer Microsoft…

Milionari, star e buoni sentimenti: per i canali televisivi si tratta di un vero cocktail vincente e acchiappa-audience. I programmi di beneficenza come Aranyag in Ungheria o Telethon in Francia e in Italia sono ormai degli appuntamenti fissi. Il che ha portato a diversi effetti collaterali, come dimostrato dalle accuse di eugenismo indirizzate a Telethon da alcuni settori cattolici in Francia. In quanto alcuni programmi di ricerca finanziati lavorano sulla “selezione” degli embrioni in vitro.

Ma c’è dell'altro: i media che raccolgono gli oboli di queste nuove messe del Bene, in particolare le televisioni private, sono anch’essi divenuti caritatevoli. Soprattutto nei confronti delle associazioni, come sottolinea Bruno David, consulente in comunicazione: «È estremamente diffuso il fenomeno per il quale canali televisivi offrono spazi pubblicitari alle ong. Ma le ong si ritrovano tutt’a un tratto sottomesse al volere della regia pubblicitaria o del direttore del canale che deciderà di sostenere un’associazione piuttosto che un’altra».

Ed è qui che si trova uno dei limiti della beneficenza: il donatore è l’unico regista, muove i fili della borsa di fronte ad un beneficiario che raramente può dire la sua. Tuttavia, milioni di persone che fanno beneficenza in silenzio fanno atto di resistenza, in un società che dà valore all’acquisto impulsivo. E poco importa che lo facciano per stare a posto con la coscienza come se fosse un prodotto di largo consumo.

 

Da CafèBabel.com