C’è una donna
uccisa nel bosco

Marco Vichi.

Mi lasciavo portare dalla macchina come se fosse il mio vecchio cavallo, tenendo il vetro un po’ aperto per sentire l’aria sulla faccia. Dopo qualche chilometro, in fondo a un rettilineo vidi alcune macchine ferme sul ciglio della strada, attorniate da un gruppetto di persone. Avvicinandomi riconobbi un’ambulanza e due Fiat dei carabinieri... e mi ricordai del brutto presentimento. Parcheggiai dietro alle altre macchine e scesi. C’erano solo contadini e contadine. Chiesi cos’era successo.

«Hanno ammazzato una donna» disse un tipo grasso.

«Cosa?».

«Una donna... ammazzata...» fece una contadina.

«Come ammazzata?».

«Ammazzata... ammazzata...».

«Morta» precisò una voce.

«E chi l’ha ammazzata?».

«Lo sa Dio...» fece una donna.

«Non si sa chi è?» chiesi preoccupato. Stavo pensando a Camilla.

«Ancora non lo sanno» fece il tipo grasso.

«L’avete vista? Di che colore ha i capelli?» chiesi guardando tutti. «Non si sa nulla».

«Dov’è?».

«Su di là, ma non si può andare» disse il grasso, indicando la strada di sassi che saliva sulla collina.

«L’ha trovata il cane di un cacciatore, stamattina alle sette» fece un altro.

«Era dietro un cespuglio» disse una contadina larga come un armadio. Mi allontanai di qualche passo e riprovai a chiamare Camilla. Era staccata. Sudavo. M’incamminai su per la strada sterrata.

«Non si può andare» dissero in due o tre. Alzai le spalle e continuai a salire. Più avanti cominciava una pineta.

Sentii un motore alle mie spalle, e mi voltai. Stava arrivando una macchina nera. Quando mi passò accanto sbirciai dentro. Due uomini in borghese, tutti e due attaccati al cellulare. Doveva essere il sostituto procuratore con un assistente. Vidi sparire la macchina in mezzo al bosco e affrettai il passo. Subito dopo passò un furgone a vetri. Quattro facce giovani con gli occhiali neri. Forse la scientifica. Anche loro sparirono dietro la curva.

Continuai a camminare con il cuore accelerato. Non poteva essere Camilla, mi ripetevo ogni secondo. Seguendo il sentiero m’infilai in mezzo al bosco. Dopo un paio di curve vidi a un centinaio di metri il furgone e la macchina, parcheggiati in mezzo alla stradina. Più avanti c’era una Panda blu, e di lontano riconobbi il maresciallo Pantano. Stava parlando con un uomo in abiti borghesi. Un po’ in disparte c’era un vecchio con il fucile appeso alla spalla, e ai suoi piedi era accucciato un bracco marrone. Doveva essere il cacciatore che aveva trovato il cadavere.

Il maresciallo si voltò e mi vide. Ero sicuro che mi avesse riconosciuto. Per un po’ fece finta di nulla e continuò a parlare, poi strinse la mano al tipo in borghese e mi venne incontro con una certa decisione. Mi intercettò a una trentina di metri dalla zona calda. Ci stringemmo la mano.

«Passavo sulla provinciale e ho visto tutta quella gente...».

«Lei passa sempre dai posti sbagliati».

«È sempre stata una mia caratteristica... Ma che è successo?». chiesi, prendendola larga.

«Ha l’aria molto stanca, dottore» fece lui, allusivo.

«Ho dormito poco».

«E come mai?».

«Ho lavorato fino a tardi, e alle otto mi ha svegliato... il telefono» mentii. A pensarci bene non avevo mica l’obbligo di rispondere. Ma non mi piaceva il modo in cui Pantano mi guardava.

«Non è che lei va un po’ troppo in giro di notte, dottore?» fece lui, ancora più allusivo. Forse qualcuno mi aveva visto, non conveniva raccontare balle.

«A volte non riesco a dormire, e guidare ascoltando un po’ di musica mi rilassa».

«Ma guarda che bello...».

«Mi scusi, ma che è successo?».

«Sono sicuro che lo sa già».

«Mi sembra di aver capito che hanno ammazzato una donna».

«Infatti...» disse Pantano. Se gli avessi chiesto di che colore erano i capelli della morta, chissà che palle mi avrebbe fatto. Era meglio evitare.

«Si sa chi è?» chiesi, con aria indifferente.

«Ancora no».

«Non aveva documenti?».

«No».

«Com’è stata ammazzata?».

«Non posso dirle nulla, mi dispiace. Adesso devo andare». Mi salutò con un cenno e tornò indietro.

M’incamminai verso la provinciale a passo lento, con le mani in tasca.

Volevo apparire tranquillo, ma non lo ero per niente. Non mi era piaciuta quella conversazione. Le insinuazioni del maresciallo mi avevano molto infastidito, e anche un po’ preoccupato. Mi ero sentito in pericolo, e avevo dovuto fare attenzione a quello che dicevo e a come lo dicevo. Non mi piaceva.

Mi voltavo indietro ogni tre passi, per tenere d’occhio il cacciatore. Era lì dalle sette, non potevano trattenerlo in eterno. Intanto mi domandavo quale logica dominasse la mia fantasia. Pensavo che la donna ammazzata fosse Camilla solo perché lei non era lì con me. Ero peggio di un bambino. Ma quella sensazione non mi abbandonava.

Mi voltai e vidi il cacciatore che stava camminando nella mia direzione, con il cane accanto. Rallentai il passo, e aspettai con pazienza che mi si affiancasse. Il bracco mi annusò.

«Buongiorno» dissi.

«Salve».

Continuammo a camminare uno accanto all’altro, senza guardarci.

«Mi hanno detto che è stato lei a trovare la donna...».

«Già».

«Ha i capelli neri?».

«Bionda» fece lui. Sentii i muscoli allentarsi. Non era Camilla. Ci sarebbe stato qualcun altro a disperarsi al posto mio.

«Come è stata ammazzata?» chiesi, quasi allegro.

«Un cinghiale o un grosso cane».

«Sbranata?»

«È conciata malino» fece lui.

«Ha detto bionda, vero?»

«Tutta bionda, anche in mezzo alle gambe».

«Grazie». Mi fermai.

«Addio» fece lui, continuando per la sua strada.

Provai di nuovo a chiamare Camilla, avevo bisogno di sentire la sua voce. Cellulare spento. Aspettai che il cacciatore fosse lontano, e ripresi a camminare.

Pensare a certe cose era inevitabile. Una donna era stata uccisa da un cinghiale o da un grosso cane... e un bestione vagava nella notte ringhiando come un lupo. Mannaro o no, forse il gigante si era rotto i coglioni dei polli e si era dedicato a una preda più grossa, come quella volta del ragazzo tedesco. Cazzo. Dovevo assolutamente fotografarlo. Mi ci voleva una prova concreta. Non avevo nessuna voglia di passare da visionario e di finire sui giornali, anche se forse avrei venduto qualche libro in più.

Sulla stradina apparve un furgone nero, e passò oltre a venti all’ora. Nessuna fretta, erano i facchini dell’obitorio. Mi scusai mentalmente con quella povera donna, per aver provato sollievo alla notizia che la morta fosse lei invece di Camilla.

(Continua)
 
 

(La Stampa.it)