Woody Allen
«Io, reporter mancato»

Arriva «Scoop» di Allen con la Johansson studentessa di giornalismo alleata con un fantasma per smascherare un omicida.

NEW YORK, 6 ottobre 2006. - Potrebbe essere un omaggio alle prime, lontane, esperienze lavorative, o una piccola vendetta personale, o anche un modo per sorridere su una professione che è insieme nobile e vile, criticata e idealizzata, certe volte eroica, altre meschina. Il nuovo film di Woody Allen (da oggi in Italia distribuito da Medusa) si chiama «Scoop», parola chiave nel mestiere del giornalismo, croce e delizia di ogni cronista di razza. Seduto dietro un tavolo tondo, nella stanza di un grande albergo di Park Avenue, a due passi dalla sua personale saletta di proiezioni, Woody Allen ascolta attento le domande, sorride a tratti, non si tira mai indietro.

Come sono i suoi rapporti con la stampa?

«Da quando ho iniziato a fare film i giornalisti hanno avuto nei miei confronti un atteggiamento molto positivo, mi hanno sempre sostenuto, poi alcune cose che ho fatto non sono piaciute e il tono generale è cambiato, per poi tornare, negli utimi tempi, di nuovo molto gentile e comprensivo».

C’è però stato un periodo della sua vita, quello della separazione da Mia Farrow, in cui la pressione dei giornali nei suoi confronti è stata fortissima e sicuramente ha contribuito ad aggravare i suoi problemi personali.

«Sì, a un certo punto la stampa ha cominciato a occuparsi in modo ossessivo della mia sfera privata. Posso capirlo benissimo, la storia che stavo vivendo era particolarmente attraente, piena di spunti succosi, divertenti da raccontare. Comunque è stata solo una fase, negli anni l’interesse si è placato e adesso sono tutti molto tolleranti. E poi non c’è da stupirsi, è tanto che sono sotto gli occhi del pubblico, quindi una certa curiosità è giustificata».

La mania del pettegolezzo ha ormai contagiato gran parte della stampa; ovunque, in America come in Europa, il gossip regna sovrano. Come giudica questo fenomeno?

«Non lo ritengo preoccupante, in fondo è un po’ la stessa cosa che accade nel settore dell’alimentazione. Ci sono enormi catene che si occupano di fast food, si può mangiare al McDonald nel modo più corrivo, ma esistono anche i grandi ristoranti, l’alta cucina, il cibo di livello eccelso. E così è nella stampa, ci sono i giornali che fanno il loro lavoro nel modo migliore e quelli che si occupano solo di pettegolezzi. Le due categorie coesistono, il che vuol dire che c’è un mercato per le cose serie e un altro per il gossip che, evidentemente, è molto richiesto da una fetta del pubblico. L’importante è che continuino ad esserci ambedue le cose, come i ristoranti di bassa lega e quelli eleganti».

Forse c’è anche un rapporto di scambio, alcune celebrità esistono proprio grazie all’interesse che la stampa nutre verso le loro vicende personali. E’ un po’ quello che lei ha raccontato in Celebrity.

«E’ vero, la stampa ha dei favoriti, dei personaggi prediletti su cui ogni giorno si viene a sapere qualcosa, i giornalisti scrivono e ri-scrivono di loro, ma non credo sia colpa delle persone note».

Lei ha avuto un passato di giornalista, che cosa avrebbe fatto se avesse continuato in quella direzione?

«Era un mestiere che mi piaceva molto, avrei voluto fare il cronista di nera, una professione veramente affascinante. Circa una decina di anni fa ho ricevuto nuovamente una proposta in questo settore; vista la mia passione per il baseball, mi hanno offerto di fare il giornalista sportivo, ma non ho accettato, sono troppo preso dal mio lavoro».

Come è vista oggi in America la professione giornalistica?

«In un modo diverso rispetto al passato, un tempo i giornalisti erano considerati molto bene e i film li rappresentavano come persone meravigliose, appassionate, talvolta addirittura eroiche. Poi, per via dell’enorme diffusione dei tabloid, la figura del giornalista è stata molto screditata. Non credo che oggi Hollywood accetterebbe di produrre film con protagonisti cronisti, la gente non li ama più, ha perso l’affetto nei loro confronti. Insomma, i tempi di Tutti gli uomini del presidente sono lontani, allora il mestiere veniva considerato importante e chi lo faceva era giudicato coraggioso e degno di rispetto. Forse adesso, con la guerra, le cose stanno iniziando a cambiare di nuovo».

Qual è, tra i tanti film su giornalismo, il suo preferito?

«Sicuramente Nata ieri, una delle migliori commedie mai girate, con un magnifico William Holden. Mi piace anche molto Prima pagina, ma Nata ieri di più».

In Scoop il giornalista Ian McShane, benchè defunto, non rinuncia a seguire una pista che lo porterebbe a rivelare notizie clamorose, si getta dal traghetto che lo conduce verso l’aldilà, torna tra i vivi e trova nella studentessa di giornalismo Scarlett Johansson l’aiuto ideale per la sua missione. L’unico modo per restare in vita è coltivare una grande passione?

«Penso di sì e penso che questo valga per qualunque mestiere. Se domani, per una qualche ragione, non potessi più fare film e mi trovassi costretto a lavare piatti per vivere, farei di tutto per lavarli meglio di qualunque altro e il mio padrone sarebbe costretto a dire che io sono il migliore. Sì, la passione conta, come cercare di fare bene il proprio dovere».

Di che cosa parla il suo prossimo film?

«E’ un melodramma, un po’ come Match point, s’intitola Cassandra’s dream e come questo è ambientato a Londra. Tra gli interpreti ci sono Colin Farrell, Ewan McGregor, Tom Wilkinson. Forse andrà in anteprima al Festival di Cannes».