Nobel letteratura, da Kundera a Pamuk gli europei in lizza
A giorni si conoscerà il vincitore dell’edizione 2006 del celebre Premio.

6 ottobre 2006. - Dopo l’austriaca Elfriede Jelineket nel 2004 e l’inglese Harold Pinter nel 2005, negli ultimi anni la letteratura europea ha prodotto un vero e proprio vivaio di potenziali premi Nobel della letteratura. Vediamo quali possono farcela quest’anno, a pochi giorni dall’annuncio a Stoccolma.

Milan Kundera: «Il romanzo deve distruggere le certezze»

L’insostenibile leggerezza dell’essere (edito in Italia da Adelphi, 1989) l’ha consacrato a livello mondiale nel 1984. E le sue opere ottengono un forte successo di pubblico. Ma il palmares di Milan Kundera non conta molti riconoscimenti: un Medici per La vita è altrove nel 1973 (Adelphi, 1992) e un Premio dell’Académie Française per il suo saggio su L’arte del romanzo del 1987 (Adelphi, 1988). Classe 1929, Milan Kundera proviene da un ambiente in cui l’arte è un vizio di famiglia. Sulle orme del padre, pianista, debutta nella musica, prima di intraprendere a Praga gli studi di letteratura e di cinema. I suoi primi poemi sono pubblicati nel 1957. Nella Cecoslovacchia asservita al giogo sovietico, Milan Kundera è un militante comunista sincero e apprezzato. Ma nel ’67 – contrario alla politica della classe dirigente del Partito – Kundera pubblica Lo Scherzo, una critica amara del modello stalinista. L’intervento dell’Armata Rossa nell’agosto ’68 per reprimere le riforme democratiche segna la fine del suo coinvolgimento politico. Dopo essere stato escluso dal Partito Comunista e aver visto censurare i suoi scritti, lascia Praga nel ’75 per rifugiarsi in Francia. Dapprima professore a Rennes, insegna successivamente alla Scuola degli Alti Studi in Scienze Sociali. Naturalizzato francese dal 1981, Milan Kundera ottiene una serie di successi con i suoi libri ormai scritti nella lingua di Molière come L’Identità del 2000 (Adelphi, 2001) e L’Ignoranza (Adelphi, 2003). Gravità e austerità della retorica sono i tratti salienti dello stile Kundera.

Orhan Pamuk: «La potenza della scrittura deriva dalla riflessione»

Orhan Pamuk è nato a Istanbul nel 1952, in una famiglia borghese e francofila del quartiere di Halic. Dopo gli studi di architettura e giornalismo, trascorre tre anni negli Stati Uniti prima di dedicarsi interamente alla scrittura. È uno scrittore che guarda il mondo da una finestra e attraverso il filtro dei suoi libri: per questo viene spesso criticato per la mancanza di esperienza di vita. Per Orhan Pamuk il romanzo è l’invenzione più grande della cultura occidentale. Ispirato dalla doppia cultura turca, a metà strada tra il mistero dell’Oriente e l’affermazione dell’Occidente, incarna la giovane generazione letteraria della Turchia. Portato alla fama internazionale da opere quali Il Libro nero del 1990 (Frassinelli, 1996) o La nuova Vita del 1995 (Einaudi, 2000), Pamuk è stato il primo intellettuale musulmano a prendere le difese di Salman Rushdie, rifiutando di conseguenza il titolo di “artista nazionale”. Nel 2005 viene accusato di “insulto deliberato all’identità turca”: aveva affermato che i turchi avevano sterminato 300.000 curdi e 1 milione di armeni.

Antònio Lobo Antunes: «Sono il più grande speleologo della depressione»

Figura maggiore della letteratura, il portoghese Antònio Lobo Antunes è nato a Lisbona nel 1942. Seguendo le orme del padre neurologo, diventa psichiatra coltivando allo stesso tempo la passione per le belle lettere e in particolare per i classici della letteratura francese. Sebbene la sua prima raccolta di poesie venga già pubblicata nel 1955, è solo all’inizio degli anni Ottanta che sceglie di dedicarsi a tempo pieno alla letteratura, dopo il successo ottenuto dal suo secondo romanzo In culo al mondo del 1979 (Einaudi, 1996). Durante il servizio militare è inviato in Angola, in qualità di medico, all’inizio degli anni Settanta, in piena guerra coloniale. Ossessionato dall’esperienza, Antunes firma nel 1981 Conhecimento do Inferno (“Conoscenza dell’inferno”, ndr), le avventure di un giovane medico che lavora in un reparto psichiatrico. I suoi scritti rimettono sistematicamente in discussione la società portoghese, le sue istituzioni, il potere e le sue menzogne. È un Portogallo «da fiction », secondo l’autore stesso, se si tiene conto che questi è cresciuto durante il periodo della dittatura di Salazar.

Péter Esterhàzy: «La grande Storia è molto vicina alla vita della gente»

Spesso paragonato a Bulgakov, talvolta persino a Kafka, l’ungherese Péter Esterhàzy, nato nel 1950, si è affermato sulla scena letteraria internazionale, all’alba del Ventunesimo secolo. Nell’Harmonia Caelestis (2000, edito in Italia da Feltrinelli nel 2003) l’autore raccontava la storia della sua famiglia, uno dei più grandi lignaggi dell’aristocrazia magiara, spogliata delle sue ricchezze dal regime comunista. Due anni dopo, pubblicava un’“Edizione corretta” dell’opera, dopo aver scoperto, sfogliando tra gli archivi nazionali, che suo padre era stato una spia della polizia politica comunista per più di vent’anni. Un tradimento, questo, degno di una tragedia greca. Lo stile esplosivo nel primo romanzo si fa vibrante di emozione nel secondo: le due opere cercano di comprendere come la Storia possa mandare in frantumi le esistenze. A pochi giorni dalla commemorazione dell’insurrezione ungherese del 1956, il romanziere ricorda che in Europa dell’Est non è ancora giunta l’ora della pace.

 

Da cafebabel.com