Al cinema con la forza del teatro

Toni Servillo si racconta e rivendica la dignità del mestiere della recitazione.

Toni Servillo in una scena de "Le conseguenze dell'amore".3 settembre 2007. - Toni Servillo, dopo l’enorme successo delle «Conseguenze dell’amore», è il protagonista de «La ragazza del lago», di cosa si tratta?

«E’ un giallo alla Dürrenmatt, direi un giallo un po' francese, dove c'è un commissario e si sviluppa un'indagine non solo sulla vittima ma anche sulla coscienza delle persone che via via lui incontra».

 

Lei sarà prossimamente anche Giulio Andreotti nel film «Il divo» di Paolo Sorrentino, che effetto le ha fatto interpretare un personaggio di questo tipo?

«Stiamo girando le ultime scene di questo film, per un giudizio, però, aspettiamo la fine».

 

Lei è un attore teatrale, perché ora la vediamo spesso al cinema?

«Con Teatri Uniti facciamo teatro indipendente da venti anni, nel 1991 ho recitato con lo stesso spirito “Morte di un matematico napoletano” con la regia di Martone è stato il mio primo film. Mi piace mettere il cinema in relazione dialettica con il lavoro che faccio in teatro».

 

Lei però ora è un grande attore di cinema.

«Questo non sta a me dirlo, i nostri attori da Mastroianni a Volonté a Sordi a Tognazzi vengono tutti dal teatro. Anche Gassman ha finito la carriera riprendendo a fare teatro. Va ridata nobiltà al mestiere della recitazione».

 

Quest'anno per la prima volta affronterà Goldoni con la «Trilogia della Villeggiatura» che andrà in scena il 12 novembre al Piccolo Teatro di Milano.

«Sì, è un'esperienza molto importante, Goldoni concepisce questi tre testi per un unico lavoro, che però è stato molte volte dato in parti separate. Fu Strehler nel 1954 a dare per la prima volta in epoca moderna tutta la trilogia insieme in un suo adattamento. Il nostro lavoro parte da lì».

 

Come mettere in scena un lungo romanzo teatrale?

«Spero di contenerne la durata con un adattamento efficace. Naturalmente è in costume perché non sono eccitato da aggiornamenti che rincorrano simulacri della modernità. L'importante è non essere ridondanti. E' molto interessante il ritratto che Goldoni fa della borghesia italiana, corrisponde a certe abitudini che ci sono ancora oggi, una borghesia che ristagna nelle secche dell'abitudine, senza guardare con coraggio ad orizzonti nuovi. Mi ha aiutato riflettere il ritratto spietato della borghesia che fa Moravia negli Indifferenti».

 

Anche Eduardo e Pirandello hanno messo in berlina la borghesia italiana?

«Vedo molte relazioni tra Eduardo e Goldoni, hanno nella battuta una felicità espressiva naturale. I loro testi hanno la felicità di esprimersi in modo naturale confondendo il teatro con il mondo e il mondo con il teatro. Nel caso di Pirandello la sua lente di osservazione è più filosofica il risultato metateatrale è meno immediato e quindi forse meno felice. Pirandello a volte anche nei momenti più felici ha una spietata lettura burocratica della vita».

 

Anche Molière può rientrare in questo discorso?

«Sì, osservando Eduardo, Goldoni, Molière, vi sono delle similitudini. Lo spazio tra chi fa regia, scrive e recita è molto ravvicinato. Hanno esperienze molto concrete di palcoscenico, sono stati tutti attori, registi e autori del loro teatro. La loro è un'esperienza di teatro totale».

 

Si può dire lo stesso per Pinter?

«Certo, sono tutti esempi di teatro perfetto. Nel “Sabato, domenica e lunedì” di Eduardo avevamo ravvisato, del resto, in qualche modo un'atmosfera pinteriana».

 

A questo punto viene voglia di chiederle una cosa: quando scriverà il teatro di Toni Servillo?

«Io mi considero un interprete, qualcuno che arriva dopo l'opera che è stata scritta e ha il dovere di mantenere equilibrate le intenzioni dell'autore da esprimere con una sensibilità moderna rivolta ai nostri contemporanei. Chi crea, come diceva Garboli, deve lanciare una cometa nel cielo, io invece sento di venire dopo».

 

Che seguito ha il teatro oggi?

«I giornali si sono accorti che il numero dei biglietti venduti in teatro ha superato quelli dello stadio. Ma il pubblico di teatro non fa notizia, succede a quella parte di paese che si impegna nella cultura».

 

Che differenza c’è con il pubblico della televisione?

«Il teatro è un piacere condiviso e ci vuole forte partecipazione da parte del pubblico, non è una forma passiva come guardare la televisione».

 

E le differenze con il cinema?

«Il teatro è ancora parlare a tu per tu. Il cinema ci porta in una zona che è oltre la nostra esperienza, il cinema deve farci sognare. Una sala teatrale è un'assemblea pubblica e, appunto, ci deve essere partecipazione. Il cinema ci deve dare emozioni che ci portino altrove».

 

Sono recitazioni diverse?

«Sì, non facciamo confusione, sono mondi che vanno trattati con rispetto a partire dalle loro diversità».

 

(La Stampa.it)