Sogno azzurro: l'Italia ce la fa!

 Appuntamento oggi alle ore 13, ora di Città del Messico,
nella sede della Società Dante Alighieri (Marsella N°39, Col. Juárez)

17 giugno 2007. - C’è una frase che fotografa l’attesa dell’Italia, nell’umido autunno di Zurigo. L’ha detta Donadoni: «Non siamo i padroni del nostro destino», affermazione che aprirebbe le porte a sottili disquisizioni filosofico-religiose ma qui si parla soltanto di una partita di pallone, sebbene importante, anzi come l’ha definita ancora il ct, ieri in vena di sentenze da incidere nel marmo, «La Partita». Può succedere che la Nazionale giochi un grandissimo match con la Francia e che non basti a tenerla in corsa. Può accadere che ne giochi uno minimo e pareggi ma vada avanti.

Non c’è mai stato un pendolo più ampio di possibilità nè si può prescindere da cosa faranno Olanda e Romania. Entrambe giurano sulla propria onestà, come fanno anche i più grandi truffatori. Questo voleva dire il Dunadùn: si può dare il massimo e uscire dall’Europeo allo stesso modo di quattro anni fa, quando il Trap fu condannato dalla "combine" tra svedesi e danesi, che confezionarono il pareggio nei modi che servivano alla loro qualificazione. Non ci si può fare niente.

La Federcalcio manderà a Berna qualche suo uomo a controllare di persona ma è come per gli osservatori dell’Onu a Gaza, quando anche si accorgessero di un inghippo chi li starebbe a sentire? Vibranti proteste e niente più. E’ tutto superfluo, tranne la fiducia in Van Basten e nei suoi uomini. La sola scelta che può fare davvero l’Italia è mettersi a posto con la propria coscienza e salvare con una grande partita la faccia che si è sporcata fin qui. Non è una piccola cosa. Innanzitutto è la condizione indispensabile per sperare di passare il turno perchè da giorni ci occupiamo di cosa faranno gli altri ma se gli azzurri non vincono ogni discorso diventa inutile. E, se la vittoria non bastasse, avremmo almeno visto uscire di scena decorosamente i campioni del mondo.

A quattro anni di distanza, nessuno ricorda che la Nazionale fu eliminata in Portogallo perchè non aveva saputo battere la Danimarca e si era fatta fregare da un colpo di tacco di Ibrahimovic: la sola ragione che la memoria ha trattenuto è la porcheria allestita nel «derby» scandinavo. Così nel 2012, persino la disastrosa prestazione vista qui con l’Olanda e l’incapacità di battere la Romania sarebbero seppellite dai maneggi romeni e dagli errori arbitrali, a condizione però di vedere una squadra convincente, brillante e orgogliosa contro i francesi. Certo, è uno strano match. Da disperati. Se n’era persa l’abitudine dopo dieci anni in cui la sfida ha rappresentato la crema in Europa, dal confronto finito ai rigori nei quarti del Mondiale ‘98, alle finali del 2000 e del 2006.

Non c’è «glamour» in un confronto per la salvezza eppure ieri c’era più gente alla conferenza stampa di Donadoni di quanta se ne fosse mai vista, magari per il gusto sadico di vedere un uomo che si gioca il posto di lavoro («Ma le valigie non le ho fatte»). Domenech viaggia con il peso di Deschamps sulla spalla, il Dunadùn ha Lippi nella sua ombra e, per quanto si sia evitato di parlarne in queste ore, la situazione è così chiara che il cambio della guardia, se ci sarà, potrebbe avvenire entro domenica, il giorno in cui, se tutto andrà per il meglio, l’Italia dovrebbe giocare invece il quarto di finale.

E’ un quadro complesso. Gli azzurri sembrano leggermente favoriti perchè hanno già digerito la batosta contro l’Olanda che per i francesi è più fresca. «Possiamo pensare solo a noi stessi e sperare che sia sufficiente - ha detto il ct che contro i francesi, nelle qualificazioni ha vissuto i momenti peggiori -. Quanto alla partita dell’Olanda non ho telefonato a Van Basten per chiedergli di fare il suo dovere con i romeni perchè lo riterrei un insulto. Così come credo che se io fossi una delle riserve olandesi e mi chiedessero di andare in campo per farmi battere mi ribellerei e risponderei che a farsi battere ci andassero gli altri». Dopo la concessione sull’ultima volta, quando annunciò l’impiego di Del Piero e Chiellini, siamo tornati a un Donadoni ermetico, aldilà dell’allenamento in segreto. Non ha confermato Cassano, anzi l’ha criticato con la frase: «Nel calcio ci sono due fasi: una d’attacco e una in cui ci si difende e, in questa seconda, Antonio mi fa arrabbiare un po’ e lui lo sa».

 

(La Stampa.it)