I quarant'anni di Roberto Baggio
un campione che manca al calcio

Una carriera di successi e polemiche, dal Pallone d'oro al rigore di Pasadena
"Voglio essere ricordato come una persona coerente con se stessa"

17 febbraio 2007. - Quarant'anni e un passato da ricordare. Quando infiammava gli stadi, le polemiche, le discussioni da bar. Roberto Baggio da Caldogno, classe 1967, spegne le candeline domani, il 18 febbraio. Una carriera piena di soddisfazioni ma anche di delusioni, a volte immeritate. Come il Pallone d'oro, che lo piazzò al vertice della graduatoria mondiale, il rigore sbagliato a Pasadena, che lo fece precipitare nel sottoscala azzurro, gli altari meritati portando, con i suoi gol, la squadra azzurra alla finale dopo aver dato del "matto" a Sacchi che contro la Norvegia lo aveva sostituito.

Baggio è stato il giocatore che tutti hanno voluto (Fiorentina, Juve, Milan, Bologna, Inter, Brescia) e molti hanno poi lasciato andare senza rimpianti. Duecentodiciotto reti in serie A, ventisette in Nazionale, capace di far scoppiare discussioni interminabili: punta o trequartista? Proprio questo dubbio fu sfruttato per metterlo da parte. Platini lo definì "un nove e mezzo".

Per Carletto Mazzone, che lo ha allenato, è stato il fantasista numero uno, superiore a Meazza e Boniperti in Italia e fra i primissimi subito dopo Maradona, Pelè e forse Cruyff. "Senza i problemi alle ginocchia sarebbe stato il numero uno al mondo" ha detto il tecnico, che lo ha avuto a Bologna e Brescia.

Baggio ha vinto poco, in proporzione alla sua statura tecnica: due scudetti (uno con la Juve e uno col Milan); in azzurro ha disputato quattro Mondiali, sfiorando la vittoria nel 1994 negli Usa (alla finale) e conquistando il terzo posto nel 1990 in Italia. Trapattoni gli ha negato la quinta presenza in Giappone. "Non ti convoco perché non stai bene" gli disse, liquidandolo. "Ma io stavo bene, Mazzone mi avrebbe fatto giocare" ribattè lui.

Il buon carattere, l'educazione e la disponibilità che lo hanno sempre contraddistinto non gli hanno impedito di pronunciare parole di fuoco nei confronti dei tecnici che lo hanno messo da parte. "Se non servo me ne vado" disse a Lippi quand'era all'Inter. Poi dichiarò che il tecnico, oggi campione del mondo, era "un caudillo, ostentava una conduzione militaresca dello spogliatoio.

Voleva annientarmi ma non ci è riuscito". Di Capello che se ne andò al Real (la prima volta), disse: "Nello spogliatoio non lo sopportava più nessuno". E di Sacchi: "Mi ha fatto male in buona fede." Non gli sono mai piaciuti nemmeno certi nomignoli che gli hanno affibbiato, "coniglio bagnato" o "divin codino".

Passato dalla Fiorentina alla Juve, dopo le gli insulti (e gli sputi a Coverciano) ricevuti dai tifosi, si rifiutò di tirare un rigore contro i viola. Non per paura, spiegò: "Non tirai perché il portiere Mareggini, mio ex compagno, mi conosceva troppo bene". Insomma, una vita movimentata, fra le invidie e le polemiche. E una carriera finita nell'anonimato: dopo Brescia, Baggio è uscito dai riflettori del calcio. Gli piace che si parli di lui come di una persona coerente con se stessa, e anche con la sua religione, il buddismo. Secondo la quale, ripete spesso, "tutto ciò che ti capita, è colpa o merito tuo".

 

Da Repubblica.it