6 febbraio 2011. - Nel gennaio 2009 la NATO risvegliò un terrore antico a Washington: in un rapporto al governo americano affermava di essere in possesso di "informazioni attendibili" circa le intenzioni di Al-Qaeda di creare una bomba sporca, cioè un congegno fatto di esplosivi legati a materiali radioattivi, come l'uranio, capace di diffondere radiazione in centri urbani.

Per evitare questa possibilità, gli Stati Uniti hanno finanziato da allora l'installazione di centinaia di portali di rilevamento radioattivo nei porti commerciali più attivi del mondo come Singapore, Rotterdam, Liverpool e, in Messico, Veracruz e Lazaro Cardenas.

E —sempre in Messico—  anche a Manzanillo, dove il 24 Ottobre 2009 scattò per la prima volta l'allarme di materiale nucleare che è diventato l'incubo degli USA dopo gli attentati dell'11 settembre 2001.

L'allarme della fine del mondo suonò il giorno in cui uno uno degli scienziati del Dipartimento di Energia degli Stati Uniti, assegnato all'ambasciata Usa in Messico, si decise a controllare la pila di dati raccolti da un sensore di materiale radioattivo installato nel porto di Manzanillo, nello Stato di Colima.

Scendeva la sera del 24 ottobre 2009 e nel bunker diplomatico statunitense di Paseo de la Reforma a Città del Messico si accesero le luci rosse. I registri trasmettevano un risultato spaventoso: un container proveniente dalla Cina, imbarcato in uno degli stabilimenti della Samsung, aveva scatenato i sensori con tracce elevate di radiazioni di neutroni, altamente pericolose per gli esseri umani e in grado di uccidere un essere vivente in questione di ore.

In concentrazioni come quelle rilevate a Colima —ben al di sopra di quelle che emettono le attrezzature mediche tali livelli di radiazione possono solo indicare due possibilità: armi nucleari e reattori.

«Un portale di controllo a Manzanillo allerta sulla presenza di radiazioni di neutroni», informò l'ambasciata Usa in Messico, secondo un messaggio inviato dal centro diplomatico che forma parte delle indiscrezioni del sito Wikileaks.

Il messaggio 00378, pubblicato questa settimana, riassume i sei giorni di un'operazione disperata del governo Usa per trovare il contenitore —perso da qualche parte in Messico— e neutralizzare il rischio di un carico radioattivo. Durante i primi due giorni della ricerca, l'informazione non fu condivisa con il governo messicano, che rimase completamente all'oscuro circa il potenziale pericolo del contenitore per la sua popolazione.

Il racconto contiene dettagli anche su come la crisi attivò gli allarmi nucleari di Washington e in che maniera le agenzie di sicurezza nazionali furono direttamente coinvolte nel dipanare il mistero dell'imbarco cinese e cercare di rispondere a domande del tipo: era davvero arrivato in Messico un ordigno nucleare? Era diretto verso gli Stati Uniti? Quante persone erano in pericolo?

Ma ... soprattutto: che fare?

«Il sistema di Manzanillo era ancora sotto la supervisione del Dipartimento di Energia degli Stati Uniti che non aveva ancora ceduto il controllo alla dogana in Messico», si spiega nel messaggio.

Visti gli elevati livelli di radiazioni rilevate, l'ambasciata decise di inviare le informazioni per l'analisi al laboratorio di Los Alamos, New Mexico, sede principale della ricerca nucleare statunitense e ricordato, soprattutto, come la culla del Progetto Manhattan.

Secondo WikiLeaks l'ambasciata prese contatto con l'Agenzia delle Entrate messicana (SAT), da cui dipendono le dogane del Paese, per informarla dei suoi sospetti solo il 26 ottobre

"Il Dipartimento di Energia informò  i funzionari doganali messicani alle ore 09:00". Erano trascorse quasi 40 ore dall'arrivo a Manzanillo dei container radioattivi. Dopo un sopralluogo, si scoprì che non si trovavano più nel porto: erano penetrati in territorio messicano.

Dopo essere stata informata, la SAT iniziò a cercare di rintracciare i container dell'imbarco, un compito che si sarebbe potuto iniziare prima, ma che fu ritardato dalla decisione inspiegabile da parte di Washington di non condividere informazioni. Alle 11.00, i laboratori di Los Alamos avevano già confermato i peggiori timori.

«Il Laboratorio informò che l'allarme sembrava vero», indicò l'ambasciata che —dopo aver ricevuto la conferma— attivò il protocollo di emergenza nucleare, facendo sapere immediatamente all'ambasciatore Carlos Pascual che tutto indicava che un dispositivo radioattivo, forse una bomba sporca o un'ogiva, era stato perso in Messico.

Dopo aver concluso la sua revisione dei documenti d'imbarco dalla Cina, la SAT informò il governo degli Stati Uniti che si era già potuto stabilire il destino del misterioso container.

Si dirigeva verso gli Stati Uniti.

Il 27 ottobre alle 9 l'Ambasciatore Pascual notificò l'ufficio Armi di Distruzione di Massa del Dipartimento di Stato Usa. Alle 9:30 era già in corso una chiamata in conferenza d'emergenza. Parteciparono rappresentanti del team di risposta nucleare dei dipartimenti della Difesa, Homeland Security, Giustizia e il Consiglio di Sicurezza Nazionale.

Gli uffici della Samsung in Corea del Sud, vennero contattati per informare i funzionari dell'azienda della crisi che ha il loro contenitore come protagonista. Allo stesso tempo, la Commissione nazionale sulle misure di salvaguardia nazionali (CNSN) del governo messicano entrò finalmente in scena.

Il 28 ottobre alle 8,30 del mattino nessuno sapeva dov'era il container. Alle due del pomeriggio la sede della Samsung cancellò i dubbi: il cassone si trovava nei loro magazzini di Querétaro.
 


 

Un carico radioattivo, potenzialmente letale, eveva percorso quasi 700 chilometri di strade e autostrade messicane, attraversando gli stati di Jalisco, Michoacán e Guanajuato.

Il 29 Ottobre alle 12:30 un team di ricercatori del CNSN con tute speciali arrivò al magazzino. L'ambasciata era stata informata che il contenitore era sigillato e, per fortuna, non era stato aperto. Ma gli scanner non rilevarono traccia alcuna di radiazioni. Alle 10, dopo una lunga notte, erano già state effettuate tre ispezioni con sensori di raggi gamma. Risultato: negativo. Il carico non era una testata nucleare. Si trattava di una spedizione di motori per lavatrici. È non era neanche diretto negli Stati Uniti.

Il sensore a Manzanillo aveva fallito, scatenando allarmi in Messico e negli Stati Uniti, ma rivelando anche carenze significative nell'uso dei protocolli di comunicazione e di gestione delle crisi tra i due Paesi nel caso del peggiore degli scenari.

«L'allerta di neutroni registrata dal Dipartimento per l'Energia sembra essere stato un falso allarme», si lamentò l'ambasciata, dopo i sei giorni in cui Washington aveva temuto che uno dei suoi incubi avesse preso forma in Messico.

 

***

Enero de 2009. La OTAN revive un viejo temor de Washington: informa al gobierno de EU que tiene “reportes confiables” de que Al-Qaeda busca crear una “bomba sucia” —explosivos atados a material radioactivo como uranio—, con la capacidad de diseminar radiación en una ciudad.

Para evitar ese escenario, EU ha financiado la instalación de un centenar de portales de detección radiactiva en los puertos comerciales más importantes del mundo, como Singapur, Rotterdam, Liverpool y, más cerca, Veracruz y Lázaro Cárdenas.

Y también, en Manzanillo. Donde el 24 de octubre de 2009 se prendió por vez primera la alerta de material nuclear que Estados Unidos ha temido desde los ataques del 11 de septiembre de 2001. La información no fue compartida con el gobierno de México, que estuvo en la oscuridad dos días sobre el potencial peligro que representaba el contenedor para su población.

La alarma del fin del mundo sonó hasta bien entrado el día, cuando un científico del Departamento de Energía de Estados Unidos, asignado a la embajada en México, se dispuso a revisar la pila de datos recopilados por un sensor de material radiactivo instalado en el puerto de Manzanillo, en Colima.

Caía la noche del 24 de octubre de 2009 y en el búnker diplomático estadounidense se prendieron los focos rojos. Los registros del portal arrojaban un resultado aterrador: un contenedor proveniente de China, originado en una planta de Samsung, había disparado los sensores debido a rastros elevados de radiación de neutrones, altamente peligrosa para los seres humanos y capaz de matar a un ser vivo en cuestión de horas.

En concentraciones como las detectadas, muy por encima de las que emiten equipos médicos, esos niveles de radiación pueden ser encontrados en dos fuentes: armas nucleares o reactores.

“Un portal de control en Manzanillo alerta a la presencia de radiación de neutrones”, informó la embajada de Estados Unidos en México, según un cable enviado por la representación diplomática y que forma parte de las filtraciones de WikiLeaks.

El cable 00378, dado a conocer esta semana, resume seis días de una operación desesperada por parte del gobierno de EU para encontrar el contenedor y neutralizar el riesgo de un cargamento radiactivo perdido en alguna parte del territorio mexicano.

Detalla, además, cómo la crisis escaló hasta activar las alertas nucleares de Washington, con un puñado de agencias de seguridad nacional involucradas directamente en desentrañar el misterio del embarque chino y responder a varias interrogantes: ¿había llegado a México un artefacto nuclear? ¿Estaba dirigido a EU? ¿Cuántas personas corrían peligro?

Y más importante: ¿qué hacer?

“El sistema en Manzanillo aún se encontraba bajo mando del Departamento de Energía y todavía no se había cedido el control a aduanas de México”, se explica en el cable.

Ante los altos índices de radiación detectados, la embajada decidió enviar la información para su análisis al Laboratorio Los Álamos, en Nuevo México, principal sede de investigación nuclear de EU, mejor recordada por haber sido la cuna del Proyecto Manhattan.

El cable de WikiLeaks precisa que no fue sino hasta el 26 de octubre que la embajada contactó al Servicio de Administración Tributaria, del que dependen las aduanas, para informarle de sus sospechas.

“Los funcionarios de Energía informaron a sus contrapartes mexicanas de aduanas de la alerta a las 09:00 horas”, se indica. Habían pasado casi 40 horas desde el arribo del contenedor radiactivo a Manzanillo. Tras una inspección, se descubrió que ya no estaba en el puerto: se había adentrado a territorio mexicano.

Después de ser informado, el SAT comenzó a rastrear el embarque, tarea que pudo haber comenzado antes pero que se retrasó por la inexplicable decisión de Washington de no compartir la información. Para las 11:00 de la mañana, Los Álamos confirmaba los peores temores.

“El Laboratorio informó a Energía que la alerta parecía genuina”, indicó la embajada, que tras recibir la confirmación activó el protocolo de emergencia nuclear, avisando al embajador Carlos Pascual de que todo apuntaba a que un dispositivo radiactivo —una bomba sucia, una ojiva, algo— estaba perdido en México.

Luego de concluir su rastreo y revisar los manifiestos del embarque chino, el SAT informó al gobierno estadounidense que se había determinado a dónde estaba dirigido el contenedor.

Iba a Estados Unidos.

Octubre 27, 09:00 de la mañana. El embajador Pascual notifica de la alarma a la oficina de Armas de Destrucción Masiva del Departamento de Estado. A las 9:30, una teleconferencia de emergencia está en curso. Atienden representantes de los equipos de respuesta a armas nucleares de los departamentos de Defensa, Seguridad Interna, Justicia y el Consejo de Seguridad Nacional.

Las oficinas de Samsung, en Corea del Sur, son contactadas para avisarles de la crisis que tiene a su contenedor por protagonista. Al mismo tiempo, la Comisión Nacional de Salvaguardias Nacionales (CNSN) del gobierno mexicano entra por fin en escena.

Octubre 28, 08:30 de la mañana. Nadie sabe la ubicación del contenedor. Hasta las dos de la tarde la sede corporativa de Samsung despeja la duda: el embarque se encuentra en sus almacenes de Querétaro.

Una carga radiactiva, potencialmente letal, ha recorrido casi 700 kilómetros de carreteras mexicanas, cruzando los estados de Jalisco, Michoacán y Guanajuato.

Octubre 29, 12:30 horas. Ataviados con trajes especiales, un equipo de investigadores de la CNSN arriba al almacén. Se informa a la embajada que el contenedor está sellado. Afortunadamente, no ha sido abierto.

Pero los escáneres no detectan rastro alguno de radiación. A las 10 de la mañana, tras una larga noche, se han conducido ya tres inspecciones con sensores gamma. Resultados: negativos. El cargamento no es una ojiva nuclear. Es un embarque de motores para lavadoras. Ni siquiera iba a EU.

El detector en Manzanillo había fallado, detonando alarmas en México y EU, pero al mismo tiempo revelando importantes deficiencias en los protocolos de comunicación y manejo de crisis entre ambos países en caso del peor escenario.

“La alarma de neutrones registrada por el equipo del Departamento de Energía parece haber sido una alerta falsa”, lamentó la embajada, después de seis días en los que Washington temió que una de sus pesadillas hubiera tomado forma en México.

 

(milenio / puntodincontro)