1 gennaio 2013 - Esodato [1], spending review, femminicidio, rottamazione, choosy. Questa la cinquina più gettonata dai lettori del quotidiano “La Repubblica” —quasi 25.000 i clic— nel sondaggio fra i magnifici tredici candidati a parola dell'anno. Fra la prima e la seconda è stato, quasi fino all'ultimo, un testa a testa; distanziate, ma non tanto, le altre. Cinque voci nuove o quasi nuove; quattro in quanto tali, una per l'ampliamento di significato che le è venuto dalla politica: dalla rottamazione di veicoli ed elettrodomestici, passando per quella di mode o abitudini, comportamenti o ideologie, si è sfociati nella rottamazione di chi, per troppo tempo, ha eletto l'aula parlamentare o i palazzi del potere a sua fissa dimora.
 


Femminicidio
, cruda e terribile, fotografa l'immagine sottopelle del politicamente corretto: la sua metà oscura, non edulcorata. Choosy, rottamazione, spending review, quanto al rovescio della medaglia, non sono da meno: la prima è snobisticamente scorretta, perché occulta una parte importante di verità; la seconda è modernamente imperfetta, perché i legittimi appelli al ricambio generazionale non possono disumanizzarci in vecchi arnesi o ingombranti rifiuti; la terza è esoticamente sospetta, perché elitaristica come spread, endorsement, fiscal cliff o tanti altri anglicismi tecnici di largo consumo dell'ultima (o penultima) ora.

Se ha vinto esodato, conquistando il gradino più alto del podio, choosy e rottamazione non hanno realmente perso. Tre parole cugine, se non proprio sorelle, apparentate da circostanze, opportunità, decisioni già prese o ancora da prendere: a collegarle è il filo rosso del lavoro, con le sue piccole e grandi tragedie individuali o familiari, locali o nazionali.

Un recente sondaggio commissionato da “Repubblica” ha registrato, fra i giovani laureati italiani, un incremento dell'“eccesso di formazione” (overeducation): uno su tre, degli assunti nel primo semestre del 2012, si è trovato a svolgere compiti per i quali, in linea di massima, si sarebbe potuto risparmiare gli anni di studio per arrivare alla laurea; uno su due ha dichiarato di essere disposto a lavorare il sabato, quasi uno su quattro la domenica, più di uno su cinque la sera, più di uno su dieci la notte. Continuiamo a ritenerli “schizzinosi”, e i nostri giovani si ribelleranno per davvero.

La rottamazione, quando non fa il gioco dell'antipolitica, rischia di trasformare il passaggio di testimone dai genitori ai figli in una cinica liquidazione del passato. È un'arma molto pericolosa, potenzialmente una bomba: una volta innescata, a non maneggiarla con cura, può esplodere fra le stesse mani di chi vorrebbe lanciarla contro i nemici "interni". Cestinate le operazioni di macelleria generazionale, e abbandonati i diversamente giovani alle sorti dell'illusionismo politically correct, dovremmo cominciare a pensare all'età degli avanti negli anni in termini di vecchiaia sostenibile. A chi agita lo spauracchio del progressivo invecchiamento della popolazione, e dei suoi sempre più elevati costi sociali, si dovrebbe rispondere con la grande lezione di Rita Levi Montalcini: i vecchi, soprattutto i vecchi, sono più la loro mente che il loro corpo. Continuiamo a ritenerli obsolete o arrugginite macchine da sostituire, a ergerci come superbi giganti sulle spalle di quelli che crediamo nani, e rinunceremo a trasmettere qualunque forma di sapere.

Le parole nuove possono segnare, di una lingua, le vibrazioni inavvertibili o più o meno percepibili, i sobbalzi consistenti, i movimenti tellurici. Nel primo caso sono effimere: durano lo spazio di un mattino (o di qualche giorno, o di una breve stagione) e non lasciano praticamente traccia nelle coscienze dei parlanti. Nel secondo caso resistono al tempo: si diffondono a macchia d'olio; rimbalzano da un luogo all'altro; vengono rincorse dai media; aggiungono altri significati a quello iniziale; approdano ai vocabolari dell'uso corrente. Nel terzo caso sono testimoni e interpreti di svolte epocali: rivoluzionano il nostro modo di pensare, la nostra concezione del mondo, le nostre abitudini, il nostro immaginario collettivo; permeano a fondo il lessico quotidiano.

Forse esodato non potrà competere con un bosone o un positrone, o con le tante altre particelle e antiparticelle, “sparticelle” e “quasi particelle” fin qui scoperte o teorizzate dalla fisica, ma è un rarissimo esempio di forza rappresentativa unita all'inconsistenza di una voce fantasma. È un incompiuto grammaticale: lo pensiamo derivare dal verbo esodare, che è però sconosciuto all'italiano. È un incompiuto semantico: ci figuriamo dei soggetti esodanti, ma abbiamo poi l'impressione di ritrovarci fra le mani dei soggetti esodati (da altri).

Ci parla con una lingua biforcuta, esodato; è il contrassegno di un linguaggio dell'irrealtà di cui dovremmo, una buona volta, smascherare le menzogne. Ma forse il cambiamento è già dietro l'angolo. Per anni ci è stata indorata la pillola perché ci abituassimo all'idea che il lavoro a tempo indeterminato non c'è più o, se c'è, va diviso con gli altri, ripartito o fatto in coppia. Il lavoro precario, non bastassero quello a tempo determinato o a termine, è sfilato sotto i nostri occhi, o giunto ai nostri orecchi, in un florilegio di designazioni: temporaneo, occasionale, accessorio; intermittente, interinale, a chiamata; atipico, in affitto, a progetto; flessibile, socialmente utile, coordinato e continuativo. I tantissimi giovani e meno giovani in speranzosa attesa di entrare a scuola o all'università, però, li abbiamo sentiti perlopiù definire, in questi ultimi mesi, semplicemente precari.

E gli esodati? Chiamateli salvaguardati o protetti, e vi sarete fatti nemici quelli che, fra di loro, sono ancora senza stipendio e senza pensione. Esodato, più che trasferito, partito o emigrato, suggerisce espulso, deportato, cacciato: è drammaticamente reietto. L'annunciata Terra Promessa, per migliaia di lavoratori sbarcati sul lido di "color che son sospesi", si è rivelata alla fine un Desolato Limbo. Diciamolo allora, anche qui, con il linguaggio della verità. L'esodato è semplicemente un disoccupato, un senza lavoro. Né più né meno di un choosy. O di un rottamato. Se, privilegi a parte, non ha ancora maturato l'età per la pensione.

____________________________

[1] Il termine esodato viene coniato nel 2012 dai mass media e dalla classe politica per indicare quei lavoratori che hanno perduto il posto di lavoro a seguito di una ristrutturazione aziendale, di un accordo sindacale o di un accordo economico con il datore di lavoro, contando di poter accedere in breve tempo al trattamento pensionistico e che hanno visto allungarsi il periodo di tempo di attesa con la riforma del sistema pensionistico.

 

(massimo arcangeli / repubblica.it / puntodincontro / traduzione allo spagnolo di massimo barzizza)

***

 

1 de enero de 2013 - Esodato [1], spending review (revisión de gastos), feminicidio, chatarrización, choosy (selectivo). Este es el quinteto más votado por los lectores del periódico “La Repubblica” —casi 25,000 clics— en la encuesta entre las trece candidatas a ser nombradas palabra del año en Italia. Entre el primero y el segundo lugar hubo incertidumbre hasta el final y las otras terminaron a poca distancia de las dos ganadoras. Cinco palabras nuevas, o casi. Cuatro son novedosas en sí, mientras que la quinta debe su calidad de inédita a la expansión de su significado a causa de la política: la chatarrización de vehículos y electrodomésticos, pasando por la moda y los hábitos, los comportamientos y las ideologías, se ha traducido en la chatarrización de aquellos que, durante demasiado tiempo, han optado por hacer del Congreso y de los edificios del poder político su residencia permanente.
 


Feminicidio
, palabra cruda y terrible, es una instantánea de la imagen bajo la piel de lo políticamente correcto: su mitad oscura, no endulzada. Choosy, chatarrización, spending review —la otra cara de la moneda— no se quedan atrás: la primera es pedantemente incorrecta, porque esconde una parte importante de la verdad; la segunda es modernamente imperfecta, porque las legítimas llamadas a la renovación generacional no pueden deshumanizarnos como viejas herramientas o residuos voluminosos; la tercera es exóticamente sospechosa, ya que es un término de élite como spread, endorsement, fiscal cliff y muchos otros anglicismos técnicos muy utilizados recientemente.

Aunque la ganadora haya sido esodato, conquistando el escalón más alto del podio, choosy y chatarrización en realidad no perdieron. Tres palabras emparentadas, para no decir hermanas, estrechamente vinculadas por las circunstancias, las oportunidades, las decisiones ya tomadas o a punto de ser adoptadas. Las conecta el tema común del trabajo con sus tragedias grandes y pequeñas, familiares, locales o nacionales.

Un estudio reciente detectó, entre los jóvenes titulados italianos, un aumento del “sobre-entrenamiento” (overeducation): uno de cada tres de los que fueron contratados durante el primer semestre de 2012, terminaron realizando tareas para las cuales, en principio, habrían podido ahorrarse los estudios cursados para obtener el título; uno de cada dos dijo estar dispuesto a trabajar los sábados, casi uno de cada cuatro los domingos, más de uno de cada cinco en las tardes y más de uno de cada diez durante la noche. Si seguimos tachándolos de "delicados" nuestros jóvenes se rebelarán de verdad.

La chatarrización, cuando no juega a la anti-política, amenaza con convertir el cambio de estafeta entre padres e hijos en una cínica aniquilación del pasado. Es un arma muy peligrosa, potencialmente una bomba: una vez activada, si no se maneja con cuidado, puede explotar en las mismas manos de los que la quieren utilizar en contra de los enemigos “internos”. Una vez descartados los intentos de exterminio generacional y abandonados los adultos mayores a las formalidades políticamente correctas, deberíamos empezar a pensar en la edad de los ancianos en términos de vejez sostenible. A los que pregonan el fantasma de una población que envejece y sus elevados costos sociales, deberíamos responder con la gran lección de Rita Levi Montalcini: los ancianos —y sobre todo ellos— son más mente que cuerpo. Si seguimos considerándolos máquinas obsoletas u oxidadas que deben ser reemplazadas, alzándonos como gigantes orgullosos sobre los hombros de aquellos que calificamos como enanos, renunciaremos a la transmisión de todo conocimiento.

Las palabras nuevas denotan, en un idioma, las vibraciones imperceptibles o más o menos distinguibles, las sacudidas constantes, los movimientos de la tierra. En el primer caso son efímeras: duran el espacio de una mañana (o unos días, o una temporada corta) y prácticamente no dejan rastro en las conciencias de los hablantes. En el segundo caso resisten en el tiempo, se extienden ampliamente, rebotan de un lugar a otro, son perseguidas por los medios de comunicación, añaden nuevos significado a su versión inicial y se integran a los vocabularios de uso corriente. En el tercer caso son testigos e intérpretes de los puntos de inflexión: revolucionan nuestra forma de pensar, nuestra visión del mundo, nuestras costumbres, nuestra imaginación colectiva e impregnan profundamente el léxico de todos los días.

Tal vez esodato no pueda competir con un bosón o un positrón, o con las muchas otras partículas y antipartículas, “departículas” y “cuasi-partículas“ hasta ahora descubiertas o imaginadas por la física, pero es un raro ejemplo de una fuerza representativa unida a la inconsistencia de una voz fantasmal. Es un inacabado gramatical y parece derivar del verbo “esodare” (exodar) que, sin embargo, no existe en italiano. Se trata también de un inacabado semántico: nos imaginamos sujetos “exodantes”, pero después tenemos la impresión de encontrarnos entre las manos de sujetos “exodados” (por otros).

_______________________

[1] El término “esodato” fue creado en 2012 por los medios de comunicación y la clase política para referirse a los trabajadores que perdieron su empleo como consecuencia de una reestructuración corporativa, de un convenio colectivo o de un acuerdo económico con el empleador, con la esperanza de poder acceder rápidamente a sus pensiones y, sin embargo, han sido víctimas del alargamiento del período de espera a causa de la reforma del sistema de pensiones.

 

(massimo arcangeli / repubblica.it / puntodincontro / traduzione allo spagnolo di massimo barzizza)